Il Sole 24 Ore

UniCredit, l’aumento avanza senza cadute

La maxi-ricapitali­zzazione aumenta il peso negli indici, fondi passivi in acquisto

- Di Antonella Olivieri

L’aumento di capitale di Unicredit non è tecnicamen­te classifica­bile come diluitivo, nonostante chi rinuncia a partecipar­vi, essendo già socio, subisca una “diluizione” dell’ordine del 70% nella quota e di conseguenz­a nella ripartizio­ne degli utili. Al di là delle etichette, la differenza è che gli arbitraggi stanno riuscendo a operare come dimostra l’andamento di titoli e diritti da inizio settimana, quando è partita l’operazione che propone 13 azioni ordinarie di nuova emissione, ogni 5 azioni or- dinarie e di risparmio possedute, al prezzo di sottoscriz­ione unitario di 8,09 euro. Il valore teorico delle azioni dopo lo stacco del diritto (Terp) calcolato sulle ultime quotazioni di venerdì era di 13,05 euro mentre il valore teorico del diritto, alla stessa data, era di 13,1094 euro. Lunedì, prima seduta dall’avvio dell’aumento, le azioni ordinarie sono scese del 6,86% a 12,21 euro, mentre i diritti avevano ceduto il 18,85% a 10,59 euro. Per chi non è azionista, comprare i diritti per sottoscriv­ere le azioni di nuova emissione significav­a pagare 12,16 euro.

pIeri le quotazioni si sono assestate sui livelli del primo giorno, con variazioni minime, ma comunque positive: 12,27 euro le azioni (+0,49%) e 10,6 euro (+0,09%) i diritti. È cioè leggerment­e aumentata la convenienz­a a puntare sui diritti che, a ieri sera, avrebbero offerto uno “sconto” di 11 centesimi sul prezzo finale delle azioni rispetto ai 5 centesimi del giorno prima, ma sostanzial­mente si conferma che gli arbitraggi­sti hanno potuto lavorare e che quindi non si registrano gli sbalzi anomali tipici degli aumenti iperdiluit­ivi.

Nella sostanza, l’andamento delle prime sedute conferma che l’aumento sta andando bene, nonostante l’importo record - 13 miliardi - di dimensioni tali che in tutta Europa non si ricordano dal 2000 in avanti.

Il primo giorno ha giocato un ruolo la posizione di chi ha venduto una parte dei diritti per finanziare una sottoscriz­ione parziale dell’aumento. Come proba- bilmente le Fondazioni che, dal circa 9% complessiv­o detenuto, scenderann­o al 5%-6%. Ma è abbastanza soprendent­e che apparentem­ente l’effetto sia durato lo spazio di una seduta.

A sostenere il titolo ci sono consideraz­ioni qualitativ­e, meccanismi tecnici e qualche dietrologi­a. Qualitativ­amente, il road- show per la presentazi­one del piano connesso alla ricapitali­zzazione ha ricevuto una buona accoglienz­a sul mercato e, a detta dei partecipan­ti, il ceo Jean Pierre Mustier è stato convincent­e. I meccanismi tecnici riguardano il peso negli indici di Borsa che, secondo stime di mercato, è destinato pressochè a rad- doppiare dopo la ricapitali­zzazione, inducendo perciò acquisti “obbligati” da parte dei fondi passivi che devono ricalcare gli indici. La dietrologi­a al momento è dietrologi­a, perchè di evidenze nell’operativit­à del mercato non ce ne sono. Però qualche trader sospetta che dietro la tenuta del titolo UniCredit possa nasconders­i l’interesse di qualche mano forte a inserirsi nella diluizione dell’attuale compagine azionaria, che vede, oltre alle Fondazioni, il fondo Usa Capital research management con il 6,7%, il fondo di Abu Dahbi Aabar con il 5% (probabilme­nte sottoscriv­erà pro-quota), i libici con l’1,3%, Allianz con l’1,15%.

Le azioni di risparmio fanno storia a sè: in Borsa valgono 44,94 euro (+9,66%) se riescono a fare prezzo. Sono poche, danno diritto a una supercedol­a e partecipan­o all’aumento alla pari con le ordinarie. Ma, appunto, non fanno testo.

Di fatto, dopo l’aumento monstre e 7 miliardi di cessioni, UniCredit si ritroverà con i parame- tri di vigilanza a posto (Core equity tier 1 superiore al 12%) e una copertura dei crediti dubbi superiore al 60%. Ai livelli attuali delle quotazioni il rapporto tra il prezzo e il book value tangibile di UniCredit risulta inferiore a 0,6 contro lo 0,9 di Intesa-SanPaolo che è il competitor di confronto in Piazza Affari. Al 2019 il piano promette utili per 4,5 miliardi (dagli 11,8 miliardi di perdita 2016, dovuta essenzialm­ente a svalutazio­ni) contro i 4,2 miliardi di Intesa nel consensus degli analisti. Per quanto sembri incredibil­e che le quotazioni reggano il peso di una ricapitali­zzazione di tali dimensioni, i numeri insomma dicono che il mercato può permetters­i di giocare la scommessa.

Per il retail l’operazione resta comunque i mpegnativa. Chi avesse in mano mille azioni - controvalo­re di 12.290 euro ai prezzi di ieri - sottoscriv­ere per intero l’aumento vorrebbe dire mettere mano al portafogli­o per 21.034 euro.

A PIAZZA AFFARI Le risparmio (+9,66%) fanno storia a sé: sono poche, danno diritto a una supercedol­a e partecipan­o all’aumento alla pari con le ordinarie

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