Il fisco dei record e il fisco della realtà
Il record assoluto di 19 miliardi per il recupero di evasione è una buona o una cattiva notizia? La domanda è mal posta. Però si potrebbe rispondere che quel risultato è al tempo stesso una buona “e” una cattiva notizia. Entrambe da valutare con realismo.
I 19 miliardi di euro affluiti nel 2016 nelle casse dello Stato per il contrasto all’evasione sono un risultato sul quale va, in primo luogo, riconosciuto il buon lavoro dell’agenzia delle Entrate. Ed è anche il segno che la strategia del “cambia verso”, voluta e sostenuta dal governo Renzi, ha dato risultati incoraggianti.
Non è irrilevante che questo successo sia giunto nel momento in cui l’Agenzia si è trovata a gestire l’enorme problema aperto dalla sentenza della Consulta che, sul finire del 2015, ha messo fuori gioco circa 800 dirigenti incaricati. L’amministrazione è stata letteralmente decapitata di due terzi del proprio vertice. Si era detto che questa situazione avrebbe avuto conseguenze pesanti sull’attività degli uffici. Le difficoltà, evidentemente, ci sono state ma non hanno avuto – almeno non finora – effetti negativi sul gettito. Vedremo quanto a lungo l’amministrazione potrà reggere questa situazione.
Il direttore dell’agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, non perde occasione per ribadire che questi risultati – e più in generale anche la crescita del gettito da autoliquidazione, aumentato nel 2016 più di quanto sia aumentato il Pil – trovano una spiegazione limpida nel fatto che la «tax compliance sta funzionando sempre più». Funziona, secondo Orlandi, il nuovo approccio di un sistema che ha rinunciato al metodo poliziesco del passato e che sta creando le condizioni per rendere più fluido il rapporto con i contribuenti.
IldirettoreOrlandisachequesto è vero solo in parte. L’immagine di un fisco attento al dialogo,chespingeicontribuenti all’adempimento spontaneo – la tax compliance, appunto – è certamente suggestiva ma anche piuttosto esagerata. Lo sforzo dell’Agenzia per la compliance, a livello locale, è ancora difficile da vedere. E sul territorio il fisco è rimasto grosso modo quello del passato: poca disponibilità all’ascolto e al confronto, convinzione generalizzata che il contribuente sia solo un evasore e che il professionista sia quello che lo aiuta a evadere.
Occorre poi riflettere su che cosa realmente ci sia dentro i 19 miliardi “recuperati”. Si dice, lo facciamo anche noi, che siano gli incassi della lotta all’evasione. Il che è vero solo in parte, a meno che non vogliamo considerare tali anche gli errori materiali, le contestazioni basate su interpretazioni divergenti, i ravvedimenti e così di seguito. Né si può ignorare il fatto che questi risultati siano raggiunti caricando i contribuenti di nuovi e sempre più onerosi adempimenti. E qui l’insofferenzadelleimpreseedeiprofessionisti è sotto gli occhi di tutti.
Quest’anno,peraltro,neltotale sonofinitipurei4,1miliardi(chesi aggiungono ai 200 milioni del 2015) della procedura di rientro dei capitali. L’Agenzia, certo, ha dovuto lavorare 130mila pratiche chehannoprodottoquasi345mila accertamenti. Attività molto impegnativa, che ha richiesto l’impiego di migliaia di dipendenti e che tuttavia non pare corretto considerare come vera e propria attività di contrasto all’evasione. L’Agenzia non ha dovuto scatenare i propri controllori a caccia dei furbetti che nascondevano i capitali all’estero. Ha ricevuto le domandediregolarizzazioneeha svolto l’attività di controllo sulla base di quelle “autodenunce”. Questo per dire che se dai 19 miliardi si sottraggono i 4,1 della voluntary(nonèchiarosevannotolti anche i 500 milioni di extra gettito del canone Rai, più volte richiamati nei dati delle Entrate, e per i quali vale lo stesso discorso fatto qui per la voluntary) allora il record sbandierato ieri viene almeno un po’ ridimensionato. Anzi, così facendo peggiorano, rispetto al 2015, gli incassi dell’attività controllo vera e propria e quelli sui versamenti diretti. L’Agenzia sostiene che queste attività – previste dalla legge – andavano fatte e che quindi a tutti gli effetti vanno incluse nei risultati del 2016.
C’è, infine, una questione più generale che ha a che fare anche con l’enfasi con cui questi risultati vengono ogni anno comunicati (quest’anno c’è stata persino una grande corsa ad aggiudicarsene il merito).
In primo luogo, per valutare le dimensioni di questo risultato sarebbe opportuno conoscere le previsioni di incasso. Quali erano gli obiettivi di recupero? E soprattutto qual è la maggiore base imponibile emersa? Solo così diventa possibile misurare la performance,vistochegliincrementirispetto agli anni precedenti possono essere influenzati da operazioni una tantum che non rendono coerenti i confronti.
Insecondoluogo,questisquilli di tromba tendono a trasmetterel’ideadiunaforzaediunacapacità di intercettare evasione fiscale che nella realtà non esistono. Almeno se prendiamo per buone – e non abbiamo motivo per non farlo – le più recenti analisi sul fenomeno dell’evasione chenonsoloindicanounaumento costante dell’incidenza del sommerso sul Pil (dall’11,4% del 2011 al 12% del 2014, secondo l’Istat) ma ormai proiettano il tax gap – ovvero le imposte e i contributi effettivamente evasi – a oltre 140 miliardi di euro all’anno.