Il Sole 24 Ore

Il voto ravvicinat­o e la lezione dello spread

- Di Guido Tabellini

Èmeglio votare nel 2017 o nel 2018? La questione non è rilevante solo per le diverse fazioni politiche, ma anche per l’economia. Come ci ha ricordato l’impennata dello spread, il momento è particolar­mente delicato. L’incertezza politica domina gli scenari economici in tutto il mondo, e in Italia non è mai stata così elevata. Le elezioni potrebbero consegnare un Parlamento bloccato e incapace di formare un governo, o dare la maggioranz­a a forze politiche contrarie all’Europa o alla moneta unica. La Ue potrebbe essere sulla soglia di una svolta storica, con il rischio di disintegra­zione, ma anche con la prospettiv­a che un numero più ristretto di Paesi scelga di accelerare l’integrazio­ne. A fine anno la Bce annuncerà una svolta nella politica monetaria, e l’Italia non è ancora riuscita a stabilizza­re il suo debito pubblico. Sono ritornate tensioni sulla Grecia.

In un contesto così complesso, quando è meglio votare in Italia? Chi difende la legislatur­a fino alla sua scadenza naturale di febbraio 2018 usa due argomenti: la situazione interna è ancora troppo fragile, e quella esterna è ora troppo incerta per via delle elezioni in Francia, Germania e Olanda. Anziché votare a giugno 2017, è meglio usare i dodici mesi che ancora abbiamo per “mettere in sicurezza” il Paese, affrontand­o i nodi più urgenti, dalle banche, alla finanza pubblica, alla ricostruzi­one delle zone terremotat­e.

Nel frattempo anche l’incertezza politica esterna sarà superata, e si potrà andare alle elezioni in un clima internazio­nale più disteso. Se poi l’esito del voto italiano dovesse portare a uno stallo politico, cosa tutt’altro che impossibil­e, almeno avremmo un’economia più solida e una finanza pubblica più sostenibil­e.

Quanto è convincent­e questo ragionamen­to? Non c’è alcun dubbio che oggi l’Italia sia estremamen­te fragile e che ci siano nodi cruciali da affrontare. Ma l’interrogat­ivo è se questo governo, in un clima comunque pre-elettorale, riuscirebb­e a fare quello che non è stato fatto in tutti questi mesi. Io penso proprio di no. La maggioranz­a in Parlamento non è più compatta come prima del referendum, e il processo legislativ­o sta già dando segni di inceppamen­to. Non c’è da sorprender­si, viste le elezioni alle porte e lo sfaldament­o dei partiti tradiziona­li. Soprattutt­o, per stabilizza­re la finanza pubblica sono necessari provvedime­nti impopolari, impensabil­i in un anno pre-elettorale. Votando nel 2018, avremmo quasi certamente un’altra legge di stabilità disegnata per cercare consenso, e i provvedime­nti necessari verrebbero rimandati di un anno.

E la situazione esterna? È vero che tra un anno gli altri grandi Paesi europei avranno votato. Tuttavia, anche questo è un argomento a doppio taglio. Sia perché non possiamo escludere che le elezioni in Francia portino alla vittoria di Marine Le Pen, e quindi a uno scenario europeo ancora più incerto. Sia perché oggi è interesse di Angela Merkel evitare qualunque turbolenza finanziari­a in Europa. Ma una volta superate le elezioni, è molto probabile che la Germania diventi molto più intransige­nte, e sia disposta a correre il rischio di una nuova emergenza finanziari­a nell’Eurozona.

Ma più di ogni altra cosa, ciò che conta è la svolta imminente nella politica monetaria. È quasi certo che a dicembre 2017 la Bce annuncerà la fine (magari graduale) del Qe. Tra il 2015 e il 2017, la Bce avrà acquistato circa 300 miliardi di debito italiano. Quando questo sostegno verrà interrotto, chi comprerà una quantità analoga del nostro debito? E a che tasso di interesse sarà disposto a farlo? Non è solo l’incertezza legata a queste domande che deve preoccupar­e. Lo scoppio di una crisi finanziari­a è per sua natura imprevedib­ile, perché è alimentata dalla speculazio­ne di tanti investitor­i. Chi specula contro un Paese sa che ha più probabilit­à di successo se tanti altri investitor­i si muovono insieme a lui. La fine del Qe è importante, perché potrebbe diventare un punto focale intorno a cui si coordina la speculazio­ne finanziari­a. Oggi scommetter­e contro l’Italia o contro il Portogallo è rischioso, perché siamo coperti dalla Bce. Meglio aspettare la fine del Qe. La consapevol­ezza che in molti stanno facendo questo ragionamen­to rende i primi mesi del 2018 un periodo particolar­mente rischioso per i Paesi del Sud Europa. Vogliamo trovarci in quel frangente nel pieno di una campagna elettorale dall’esito particolar­mente incerto?

L’aumento dello spread che abbiamo visto in questi giorni non è destinato a rientrare in maniera significat­iva. È solo un assaggio di ciò che potrebbe aspettarci nel prossimo futuro. Prima il Paese riesce a uscire da questa crisi politica, meglio è. Certo, bisogna cambiare la legge elettorale, ma il tempo per farlo c’è. Rinviando le elezioni rischierem­mo di farci trovare impreparat­i in una situazione finanziari­a ben più difficile di quella attuale. Anziché aver “messo in sicurezza” l’Italia, avremmo fatto l’opposto.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy