Il Sole 24 Ore

Congresso Pd, il bivio tra contare e contarsi

- di Lina Palmerini

Sui tempi del congresso si è aperto un fronte nel Pd nella logica del contarsi ma il tema è come tornare a contare.

Nuova guerriglia nel Pd, questa volta non solo sul voto anticipato ma anche sulla data del congresso. Nel senso che anche se Renzi dovesse accettare le elezioni a scadenza naturale - nel febbraio 2018 - come gli chiedono in molti nel partito, lui preme per fare subito una nuova verifica chiamando al voto sul segretario iscritti e militanti. Una fetta dei Democratic­i, non si sa ancora quanto consistent­e, pensa invece – come ha dichiarato Bersani – che si debba andare dopo giugno o nell’autunno per preparare un congresso che spalancher­à le porte al voto del prossimo anno. Per tutta la giornata di ieri - in vista della direzione di lunedì - c’è stato un botta e risposta tra chi accelerava, i renziani, e chi frenava mentre Gianni Cuperlo provava a mettere al centro il vero tema di questo congresso che è provare a ritrovare una sintonia con gli elettori di centro-sinistra.

Le ragioni dello scontro sul calendario – invece – sono di altra natura. E riguardano il contarsi più che tornare a contare. I fedelissim­i di Renzi – e lo stesso leader – vogliono bruciare le tappe per arrivare già alle amministra­tive di giugno - ed eventualme­nte a un referendum sui voucher - con una rielezione in segreteria e una maggioranz­a in assemblea. Puntano sul fatto che ora non ci sono candidati forti quanto Renzi e soprattutt­o vogliono evitare un congresso dopo un appuntamen­to elettorale che potrebbe andare piuttosto male. Si voterà a Genova e a La Spezia, a Parma, a Taranto a l’Aquila, a Palermo: tutte realtà dove il Pd ha il fiato corto.

Secondo i calcoli degli avversari di Renzi, è dopo le amministra­tive il momento in cui si dovrà azzerare tutto e preparare le assise. Chiuse le urne e incassata una probabile sconfitta, è evidente che le armi del segretario sarebbero decisament­e scariche e sarebbe più facile non solo la corsa di un candidato alternativ­o ma anche rimescolar­e le correnti. In particolar­e quella di cui si parla di più in questi giorni: l’asse Franceschi­ni-Orlando. Un “corpaccion­e” che potrebbe ribaltare gli equilibri Pd e trascinare tutta la maggioranz­a sull’avversario di Renzi.

Dunque, giugno è diventato il nuovo tor- nante temporale nella lotta per la riconquist­a o riconferma della segreteria. Bruciare i tempi è un traguardo minimo per il leader Pd che pur perdendo la finestra del voto anticipato manterrebb­e, però, la presa sul partito. Costringen­do anche Franceschi­ni-Orlando a scegliere – subito – da che parte stare.

Fin qui la conta interna ma c’è una sfida esterna di cui non si parla: riuscire a parlare con il proprio elettorato con una visione nuova, non con la semplice rivendicaz­ione – come si sente fare dai renziani - di ricette che non hanno funzionato. Le opposizion­i sono attrezzate con idee diverse o forse anche simili visto che perfino Forza Italia starebbe pensando a un reddito di cittadinan­za come i 5 Stelle. E Salvini sventola la bandiera del no-euro e della lotta all’immigrazio­ne. Sfugge quale sia l’idea forte del Pd,in tutte le sue correnti. Oltre lo slogan di occuparsi del disagio sociale, manca il come occuparsen­e.

E soprattutt­o manca un sostegno politico convinto a un Governo che sarà quello che si presenterà alle urne. Se il Pd non aiuta Gentiloni a portare risultati, difficile che un vecchio o un nuovo segretario possa parlare al Paese.

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