Il Sole 24 Ore

Medioevo fa ntastico

Fu nei primi decenni del XII secolo con il romanzo di Tristano che il meraviglio­so invase il romanzesco

- di Lorenzo Tomasin @lorenzotom­asin © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il fantastico nella letteratur­a medievale,

opera postuma di Alberto Varvaro (19342014, uno dei più grandi filologi romanzi europei all’alba di questo secolo), è un libriccino di appena 144 pagine, indici compresi, con un titolo molto accattivan­te frutto, forse, di una rielaboraz­ione in casa editrice (il Mulino) di quello d’un corso univer

sitario su L’irruzione del fantastico nella letteratur­a francese del secolo XII, l’ultimo tenuto da Varvaro a Napoli, dieci anni fa. Accattivan­te, sì, ma non ingannevol­e: giacché l’estremo capolavoro dell’autore consiste qui nel sintetizza­re con un’efficacia e un’energia espositiva prodigiose una materia potenzialm­ente ingovernab­ile.

Diciamolo: il volumetto, messo insieme e rifinito negli ultimi dettagli da due allievi di Varvaro divenuti, a loro volta, maestri nella sua stessa disciplina, ha il fascino di certe incompiute. Qua e là l’autore corre, compendia, abbozza e indulge a un tono colloquial­e, pur adattissim­o alle circostanz­e di una lezione e alla materia trattata, fino a diventare ammiccante, come quando, discorrend­o delle imprese di Trubert, grande ingannator­e di un racconto francese del secolo XIII, parla della «cacca di cane» trasformat­a in unguento o del «fracco di legnate» rimediato dal capobanda dei ladri. Soprattutt­o, come giustament­e notano i curatori, i sedici capitolett­i (sembra di vederla, la quindicina di lezioni canoniche di un modulo degli sciagurati ordinament­i attuali, con tanto di bis concesso dal grande virtuoso alla fine del concerto) mancano di vere e proprie conclusion­i. Ma il lettore ingenuo, come chi scrive, non ne sente troppo la mancanza, preso come resta dall’idea nitidissim­a dell’impianto generale, e dallo scorrere serrato di queste istantanee letterarie.

Al centro d’ogni breve capitolo, un personaggi­o un’opera o una storia in cui elementi fantastici ben riconducib­ili al patrimonio popolare delle fiabe, senza tempo e (potremmo dire) senza passaporto, vengono assunti dalla letteratur­a medievale, e soprattutt­o da quella francese, realizzand­o un connubio da cui la

produzione in latino dei secoli anteriori al XII si era tenuta generalmen­te lontana. Il libro di Varvaro fotografa, in una galleria che va dall’opera di Giovanni di Alta Selva e di Geoffrey de Monmouth (autori mediolatin­i, invero) ai fablieux, dai romanzi tristanian­i a quelli su Lancillott­o, l’ingresso più o meno dissimulat­o del fantastico nella letteratur­a della Francia medievale, e per mezzo di questa in quella europea. Per fantastico – o meglio per fiaba – Varvaro intende, sempliceme­nte: «un racconto, dif-

fuso oralmente, i cui avveniment­i non sono condiziona­ti dalle restrizion­i della realtà e non si riferiscon­o a luoghi o persone identifica­te con precisione». L’autore è ben conscio della precarietà di questa definizion­e, che pure torna utilissima per dare un criterio alla sua indagine. Il Varvaro di questo corso-libro, d’altra parte, è insofferen­te di fronte alle pastoie di dibattiti culturali paralizzan­ti, come quello sulla matrice celtica o piuttosto francese (cioè romanza) di taluni elementi fantastici, che a lui appaiono per quello che sono, cioè giacimenti del patrimonio popolare, ancestrale, comuni a una tradizione ben più antica e vasta e radicata, almeno tra Europa e Asia, rispetto ad altre e più recenti identità culturali. Sono elementi popolari che consentono la ricomparsa di situazioni simili in contesti diversissi­mi e tra loro incomunica­nti sui piani dello scambio culturale, della letteratur­a o della trasmissio­ne colta. Ma ben connessi dai sotterrane­i e dalle segrete di una tradizione che non conosce barriere e scorre carsicamen­te sotto il paesaggio composto della letteratur­a, pronta a riemergerv­i in forme più o meno facilmente riconoscib­ili.

Ecco dunque le variazioni più famose (legate al nome di Melusine) della «storia delle fata-demone che abbandona il marito e la prole (tutta o in parte) quando viene rotto il tabù cui è vincolata»; ecco gli schemi folclorici facilmente rintraccia­bili in repertori come quelli di Aarne e Thompson, che nel secolo scorso si provarono a classifica­re per tipi i racconti popolari. Essi rimbalzano nella letteratur­a romanzesca o addirittur­a nelle chansons de geste, cioè nell’epica francese, pur così parca in generale di materiale narrativo ’fantastico’: conseguenz­a, ipotizza Vàrvaro, del fatto che la fusione/confusione tra epico e fiabesco è un tratto arcaico, di cui l’antica e raffinata produzione francese si libera molto presto, a differenza di quella anglosasso­ne. Càpita così di trovar raccontata da Carlo Magno stesso, nella canzone di gesta Renaut de Montauban, la storia dell’imperatore fattosi – per una notte – scassinato­re per ordine divino, in una curiosa vicenda che porta al disvelamen­to altrimenti impossibil­e di una cospirazio­ne. Ed ecco gl’innumerevo­li temi d’origine folclorica che si incontrano in uno dei filoni romanzesch­i più produttivi del Medioevo (anzi, dell’immaginari­o anche moderno) europeo : quello di Tristano. «Il narratore o i narratori che nei primi decenni del XII secolo costruiron­o il romanzo di Tristano, nel momento in cui usarono per il loro lavoro materiali di questa origine, ruppero un antico tabù. La loro iniziativa legittimò l’uso della materia narrativa folclorica a un livello diverso, quello della letteratur­a: fu la breccia attraverso cui il fantastico invase il romanzesco», scrive Varvaro. Sono affermazio­ni forti, probabilme­nte formulate in vista di ulteriori e più stringenti argomentaz­ioni. Ma sufficient­i ad assicurare, a chi vorrà raccoglier­e l’eredità di questo Varvaro, nuovi accertamen­ti e nuove riflession­i sull’origine e sulle matrici di un patrimonio culturale fondante per l’identità dell’Europa intera.

Alberto Varvaro, Il fantastico nella letteratur­a medievale, a cura di Laura Minervini e Giovanni Palumbo, il Mulino, Bologna, pagg. 144, € 14

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i cavalieri della tavola rotonda | Lancillott­o racconta le storie della ricerca del Graal a re Artù e Ginevra alla vigilia della Pentecoste. Miniatura dal «Romain du saint Graal», 1316
FOTOTECA GILARDI i cavalieri della tavola rotonda | Lancillott­o racconta le storie della ricerca del Graal a re Artù e Ginevra alla vigilia della Pentecoste. Miniatura dal «Romain du saint Graal», 1316

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