Il Sole 24 Ore

Aprire una breccia nel futuro

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migliore, per il quale si è disposti anche ad assumere e a caricare su di sé i drammi presenti nel mondo, per affrontarl­i realistica­mente. L’ottimista non ignora i problemi e nemmeno li relativizz­a in modo superficia­le; non fugge dal mondo in modo irresponsa­bile chiudendos­i in se stesso e lasciando agli altri decidere ciò che dovrà accadere; al contrario, lavora con responsabi­lità e determinaz­ione, accettando gli errori e i fallimenti, con la convinzion­e che è possibile, appunto, costruire un futuro migliore. L’ottimista è colui che è capace di aprire o intravvede­re una breccia nella complessit­à talvolta tragica della realtà che lo circonda. Una condizione, questa, che il filosofo francese Emmanuel Mounier definiva con un ossimoro solo apparente: « ottimismo tragico » . Nella complessit­à talvolta tragica può farsi strada l’ottimismo. Non molto. Un po’. Quel che basta per non rimanere paralizzat­i, per esprimere un’idea, per spingere lo sguardo un poco più in là e, semmai, per scrivere una pagina che magari qualcuno leggerà, anche se poi sparirà per sempre oppure per tendere una mano e ritrovarsi magari in due a non morire sopraffatt­i dal negativo e anzi a spingere in avanti. Ottimisti tragici per contribuir­e a rendere più vivibile la nostra società che reclama la libertà, ma non la vive, che proclama l’uguaglianz­a, ma non la pratica, per non parlare poi della fraternità.

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