Aprire una breccia nel futuro
migliore, per il quale si è disposti anche ad assumere e a caricare su di sé i drammi presenti nel mondo, per affrontarli realisticamente. L’ottimista non ignora i problemi e nemmeno li relativizza in modo superficiale; non fugge dal mondo in modo irresponsabile chiudendosi in se stesso e lasciando agli altri decidere ciò che dovrà accadere; al contrario, lavora con responsabilità e determinazione, accettando gli errori e i fallimenti, con la convinzione che è possibile, appunto, costruire un futuro migliore. L’ottimista è colui che è capace di aprire o intravvedere una breccia nella complessità talvolta tragica della realtà che lo circonda. Una condizione, questa, che il filosofo francese Emmanuel Mounier definiva con un ossimoro solo apparente: « ottimismo tragico » . Nella complessità talvolta tragica può farsi strada l’ottimismo. Non molto. Un po’. Quel che basta per non rimanere paralizzati, per esprimere un’idea, per spingere lo sguardo un poco più in là e, semmai, per scrivere una pagina che magari qualcuno leggerà, anche se poi sparirà per sempre oppure per tendere una mano e ritrovarsi magari in due a non morire sopraffatti dal negativo e anzi a spingere in avanti. Ottimisti tragici per contribuire a rendere più vivibile la nostra società che reclama la libertà, ma non la vive, che proclama l’uguaglianza, ma non la pratica, per non parlare poi della fraternità.