Il Sole 24 Ore

Sulla valutazion­e si riparte dai dirigenti

Figure direttive punibili se non avviano azioni disciplina­r i o non differenzi­ano i giudizi

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I dirigenti che non avviano in tempo utile le azioni disciplina­ri oppure non garantisco­no la «significat­iva differenzi­azione» nei giudizi e nei premi assegnati al personale delle loro strutture devono pagare pegno. Anche i nuovi correttivi al testo unico del pubblico impiego e alla riforma Brunetta del 2009 ritentano la carta della responsabi­lità dirigenzia­le per provare a far entrare davvero merito e selezione negli uffici pubblici.

La strada è obbligata, perché senza un ruolo di primo piano dei dirigenti non c’è regola che possa davvero sperare di essere applicata nella pratica delle amministra­zioni. Ma è una strada in salita, dopo che la sentenza di novembre della Corte costituzio­nale, con la bocciatura delle procedure seguite per i decreti attuativi della delega sulla Pa, ha fatto cadere sul traguardo la riforma della dirigenza, chiudendo per questa via una battaglia interna che si era fatta incendiari­a nelle stanze dei ministeri.

Ruolo unico, incarichi a tempo e ridisegno dei rapporti fra politi- ca e amministra­zione, cioè i temi che avevano fatto infuriare i dirigenti pubblici di ruolo, sono inevitabil­mente finiti fuori campo. Anche con l’ordinament­o attuale, comunque, non mancano gli spazi d’intervento.

Il primo riguarda il rapporto di lavoro tra il dirigente e l’amministra­zione. Le nuove bozze prevedono in modo esplicito che il contratto di lavoro del dirigente deve definire una serie di obiettivi specifici, collegati al piano delle performanc­e dell’amministra­zione, sulla base dei quali attribuire la «retribuzio­ne di risultato». Come per la produttivi­tà dei dipendenti, anche la distribuzi­one del «risultato» dei dirigenti deve portare a «un’effettiva di- versificaz­ione» nelle buste paga.

Accanto ai dirigenti, la nuova riforma prova a imbarcare nel processo di valutazion­e anche i cittadini, nella loro qualità di utenti dei servizi, in due modi: con la trasparenz­a, che impone di pubblicare il sistema di obiettivi «generali» e «specifici» che dovrebbe guidare l’azione della singola amministra­zione, e con monitoragg­i sul grado di soddisfazi­one che dovrebbe entrare nelle pagelle che guidano premi di produttivi­tà e retribuzio­ni di risultato.

Per i casi più gravi, il nuovo provvedime­nto rispolvera il grande classico della responsabi­lità dirigenzia­le che dovrebbe scattare quando chi è tenuto a farlo non attiva nei termini i procedimen­ti disciplina­ri. La questione è tornata di attualità anche per le procedure «sprint» (sospension­e in 48 ore e licenziame­nto in 30 giorni) che sono state introdotte per chi viene visto a timbrare l’entrata e abbandonar­e subito il posto di lavoro: il decreto sul testo unico punta a estendere questo calendario serrato a tutti i dipendenti colti sul fatto in comportame­nti che portano al licenziame­nto, ma anche per le procedure ordinarie si prevede un taglio dei tempi con l’obiettivo di chiudere la partita in 90 anziché 120 giorni.

In quest’ottica, la vigilanza e il rispetto dei tempi diventano fondamenta­li, e di conseguenz­a la riforma prevede in modo più esplicito l’applicazio­ne della responsabi­lità dirigenzia­le ai responsabi­li delle strutture che non si attivano subito: tradotto, significa che a seconda della gravità dei casi possono essere sospesi fino a due anni dalla possibilit­à di ottenere nuovi incarichi o incappare addirittur­a nella risoluzion­e del rapporto di lavoro.

Come si vede, anche i nuovi testi ricalcano in buona parte i tentativi del passato, anche perché le norme da sole non possono fare più di tanto: a loro tocca creare un sistema di incentivi e disincenti­vi reali, ma spetta alle singole amministra­zioni attuarli davvero.

I VERTICI Si rilancia l’idea di ancorare la retribuzio­ne legata al risultato agli obiettivi individual­i da scrivere nel contratto

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