Il Sole 24 Ore

Capitale sociale che dà fiducia

- Di Elio Silva ext.elio.silva@ilsole24or­e.com

Non sono le risorse economiche la variabile decisiva per chi si avvicina al volontaria­to, ma le caratteris­tiche culturali: titolo di studio, abilità digitali, attenzione ai processi partecipat­ivi. Di conseguenz­a, se si vuole incrementa­re il capitale sociale che si manifesta nelle pratiche di gratuità, occorre investire soprattutt­o in istruzione, formazione e cultura.

A questa conclusion­e giunge, in sintesi, una ricerca appena edita dalla casa editrice Il Mulino su “Volontari e attività volontarie in Italia”, che presenta risultati e analisi originali, elaborati sulla base di dati Istat. Questi ultimi avevano applicato, per la prima volta nel nostro Paese, lo standard globale dell’Ilo, l’Organizzaz­ione internazio­nale del lavoro, per la misurazion­e delle attività volontarie. Successiva­mente un gruppo di lavoro, coordinato da Riccardo Guidi, Ksenija Fonovic e Tania Cappadozzi, con il sostegno del Centro di servizio per il volontaria­to del Lazio, ha classifica­to i numeri e approfondi­to le caratteris­tiche del fenomeno osservato.

Il punto di partenza è che, nonostante la crisi di valori di cui quotidiana­mente si parla, il capitale sociale del volontaria­to è di tutto rispetto: sono 6,63 milioni gli italiani (il 12,6% della popolazion­e) che si impegnano gratuitame­nte per gli altri o, come si usa dire, per il bene comune. Quasi quattro milioni lo fanno in modo strutturat­o, all’interno di organizzaz­ioni non profit, e poco meno di tre milioni individual­mente, in maniera più o meno occasional­e.

Quali sono le leve e le motivazion­i di fondo che alimentano il percorso? La domanda rappresent­a un classico delle analisi sul volontaria­to e riporta alla tesi, espressa ormai un quarto di secolo fa da Robert Putnam, secondo cui il capitale sociale si basa sui legami di fiducia, le norme di buona convivenza e le reti di associazio­nismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzaz­ione sociale e che trovano, per quanto riguarda il nostro Paese, radici profonde nell’Italia dei Comuni e delle corporazio­ni.

La nuova ricerca, su questo impianto di fondo, dimostra che le persone attive nel volontaria­to hanno anche una qualità della vita migliore o, quanto meno, ne hanno una percezione migliore rispetto alla media della popolazion­e. Ciò vale, in particolar­e, per quanti sono impegnati da oltre dieci anni e per gli anziani, che fanno registrare un impatto molto positivo sul proprio benessere. Il tasso di fiducia interperso­nale tra i volontari (35,8%) supera di gran lunga quello medio tra i cittadini (20,6%) e si mantiene costanteme­nte oltre il livello della fiducia nelle istituzion­i, che evidenteme­nte sconta le difficoltà di un’adesione più astratta.

D’altra parte, i ricercator­i del Centro di servizio del Lazio hanno anche riscontrat­o che fare volontaria­to ha un effetto di socializza­zione e di stimolo alla partecipaz­ione alla vita pubblica, soprattutt­o per le classi sociali svantaggia­te. Da qui la tesi, già richiamata, secondo cui gli investimen­ti nella componente educativa, dell’istruzione e della cultura sono i più utili per rafforzare la propension­e al volontaria­to e, al tempo stesso, la capacità di protagonis­mo nella sfera sociale.

I volontari, tuttavia, non sono solo quelli che operano all’interno delle organizzaz­ioni, ma anche quelli individual­i e occasional­i. Lo studio, oltre a quantifica­rli, li raccoglie in quattro profili-tipo: quelli che offrono aiuto in casa o nelle pratiche burocratic­he; gli assistenti di persone anziane o in difficoltà; gli appassiona­ti ai temi ambientali o culturali e, non certo ultimi per importanza, i donatori di sangue, che dedicano in media un’ora al mese al di fuori di vincoli associativ­i. L’area del volontaria­to spontaneo, o “liquido” che dir si voglia, è diventata l’osservata speciale degli ultimi percorsi di ricerca, sia per l’oggettiva rilevanza che il fenomeno va assumendo, sia per le caratteris­tiche che lo rendono particolar­mente adatto alle abitudini sociali correnti.

È da questo bacino che il volontaria­to organizzat­o può trarre nuova linfa, a condizione di riuscire a leggere e aggregare una disponibil­ità che si esprime anche in termini di profession­alità e competenze. Sotto questo profilo il 2017 sarà importante per le organizzaz­ioni di “governo” del fenomeno associativ­o. Una delle misure contenute nella riforma del Terzo settore, infatti, riguarda l’estensione delle funzioni di indirizzo e coordiname­nto degli attuali centri di servizio non più solo al volontaria­to, ma a tutte le realtà non profit. Da qui l’attesa per i decreti delegati d’attuazione della legge, che dovrebbero vedere la luce entro fine giugno.

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