«Collecting», suoni e parole che muovono 7,7 miliardi
Una stima ufficiale non esiste, ma di sicuro la torta dei diritti d’autore è di tutto rispetto. Per arrivare a una possibile quantificazione finale proviamo a considerare il valore di tutta la musica, dal pop alla lirica, insieme a opere letterarie, arte figurativa, drammaturgia e audiovisivo. Il risultato è di almeno 7,7 miliardi movimentati. A tanto ammonta, infatti, il valore dei settori direttamente collegati al diritto d’autore che da 76 anni fanno riferimento alla legge 633/41 e che ora dovranno allinearsi al recepimento della direttiva Barnier.
Il calcolo parte dai dati dell’ultima edizione di «Italia Creativa», studio realizzato da EY con le principali associazioni di categoria guidate da Mibact e Siae. Secondo lo studio l’industria creativa nel suo complesso in Italia vale 48 miliardi (dato 2015): il 3% del Pil. Per arrivare a 7,7 miliardi vanno sottratti i valori che si riferiscono ad attività culturali non assoggettate al diritto d’autore. Il quadro che ne esce vede primeggiare la musica a quota 3,3 miliardi di ricavi diretti, seguita da editoria libraria (2,9 miliardi), cinema – tra incassi delle sale per 795 milioni e proventi da vendita di supporti per 332 milioni –, teatro (214 milioni) e lirica (106 milioni). La stima potrebbe anche risultare prudente, poiché ci sono voci come il broadcasting per le quali non è possibile scorporare la quota soggetta al diritto d’autore.
La musica, sul versante del collecting, rappresenta circa l’80% del valore degli incassi di Siae. Il che spiega perché il dibattito intorno alla liberalizzazione (o meno) della raccolta dei proventi da diritto d’autore abbia avuto proprio la musica come principale terreno di scontro. Altrettanto comprensibile, a guardare questi numeri, che la musica sia stata l’unica delle cinque sezioni di attività della Siae (le altre sono lirica; Dor ossia drammi, operette e riviste; Olaf ossia opere letterarie e arti figurative; cinema) a confrontarsi con un competitor privato: Soundreef, società fondata a Londra nel 2011 da Davide D’Atri e da novembre 2015 presente sul mercato italiano.
Sullo sfondo c’era uno scenario che lasciava intravedere prospettive interessanti a chi coltivasse progetti di scalata del mercato del collecting. Innanzitutto perché l’interpretazione della direttiva Barnier non è univoca: per alcuni afferma il principio di concorrenza tra le società di raccolta dei Paesi Ue (un autore italiano può decidere, cioè, di farsi tutelare da un gestore tedesco o spagnolo), mentre per altri punta all’apertura dei singoli mercati nazionali a più operatori. Accade per esempio, in Inghilterra, dove c’è un mercato aperto con un leader assoluto (Prs), oppure - uscendo dall’ambito Ue - negli Usa, dove c’è Ascap che compete con Bmi e Sesac.
Dal 2013 a oggi il Parlamento ha lavorato molto sul tema del recepimento della direttiva Barnier (17 iniziative di legge). Lo stesso
LE CIFRE IN GIOCO L’industria creativa italiana vale complessivamente 48 miliardi (3% del Pil), il 16% dei quali è soggetto al diritto d’autore
ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, all’indomani del suo insediamento con il governo Renzi appariva molto più orientato a un’interpretazione liberista della direttiva, rispetto alle posizioni che ha espresso l’anno scorso in Parlamento, quando si riferì all’Europa come al «più grande produttore di contenuti, con una forza contrattuale enorme. Se si va verso questa direzione, non ha senso scomporre la parte nazionale». Il tutto mentre Soundreef metteva sotto contratto autori celebri come Fedez e Gigi D’Alessio, divenuti icone della liberalizzazione, e incrociava il fioretto con Siae con cui ora è in corso un contenzioso legale. Dopo mesi di aspre polemiche quindi, dentro e fuori le aule parlamentari, si è arrivati al testo che va verso la Gazzetta Ufficiale. Cosa accadrà dopo? Queste le dichiarazioni rilasciate da D’Atri settimana scorsa a Sanremo: «Il tempo degli attriti è finito. Con Siae cerchiamo un punto di incontro per migliorare il mercato».