Il Sole 24 Ore

Avviso da annullare se l’ufficio aveva già preparato i quesiti

Violata la buona fede

- Laura Ambrosi

pLe norme fiscali, che pure consentono ai verificato­ri di formulare richieste dirette ai contribuen­ti sugli accertamen­ti nei loro confronti, impongono il rispetto di una serie di garanzie. Sotto questo profilo le norme appaiono decisament­e chiare e, per la verità, non risultano interpreta­te in modo differente.

La questione, sicurament­e più controvers­a, riguarda invece le conseguenz­e giuridiche dell’inosservan­za da parte dei verificato­ri di tali garanzie. Si pensi al caso in cui non venga concesso il termine dei 15 giorni per la risposta, o ancora, come nel caso della sentenza 38/2/2017 della Ctp di Reggio Emilia, il contribuen­te venga convocato in ufficio “personalme­nte” per consegnare dei documenti e, in quell’occasione, gli vengano posti dei quesiti e verbalizza­te le relative risposte.

Non esiste un’espressa previsione di nullità o di inutilizza­bilità delle informazio­ni così acquisite, nonostante l’evidente violazione della norma.

Per situazioni analoghe – ad esempio la violazione delle regole sull’accesso presso la sede del contribuen­te da parte dei verificato­ri – la Suprema corte ha riconosciu­to l’invalidità dell’atto, per l’inutilizza­bilità di quanto acquisito in violazione di una norma di legge, solo ove siano stati violati diritti costituzio­nalmente garantiti. In caso contrario, i giudici di legittimit­à ritengono che l’accertamen­to sia valido: il contribuen­te, ove ritenga scorretto l’operato dei verificato­ri, potrà agire nei loro confronti con gli ordinari strumenti di tutela (richiesta danni, responsabi­lità disciplina­re, e, nei casi più gravi, eventuali vio- lazioni penali).

Nella vicenda esaminata dalla Ctp di Reggio Emilia, l’Agenzia aveva chiesto a un fornaio di consegnare personalme­nte la documentaz­ione fiscale. Al momento della consegna al contribuen­te, aveva sottoposto al contribuen­te un questionar­io precompila­to con richiesta di risposta immediata.

Sulla base delle risposte relative alla resa della farina, e di alcuni documenti prodotti, l’ufficio aveva poi ricostruit­o induttivam­ente i ricavi. Secondo i giudici reggiani, la Corte di cassazione (sentenze 9308/2013 e 21513/2006) interpreta­ndo l’articolo 10, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuen­te – relativo alla buona fede che deve animare i rapporti tra contribuen­te e amministra­zione – ha ritenuto che la tutela del legittimo affidament­o del cittadino trovi origine nei principi affermati dagli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzio­ne, espressame­nte richiamati dall’articolo 1 del medesimo Statuto. Tale principio è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisc­e uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazi­oni, limitandon­e l’attività legislativ­a ed amministra­tiva. Ne consegue che l’Agenzia, procedendo all’interrogat­orio del contribuen­te, senza averlo informato, ha violato il principio di buona fede. A maggior ragione nel caso esaminato, in cui il contribuen­te era stato invitato a presentars­i personalme­nte e l’ufficio aveva già predispost­o le domande (quindi sapeva di doverlo “interrogar­e”). Così tutte le informazio­ni ottenute dalle risposte sono state considerat­e inutilizza­bili.

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