Avviso da annullare se l’ufficio aveva già preparato i quesiti
Violata la buona fede
pLe norme fiscali, che pure consentono ai verificatori di formulare richieste dirette ai contribuenti sugli accertamenti nei loro confronti, impongono il rispetto di una serie di garanzie. Sotto questo profilo le norme appaiono decisamente chiare e, per la verità, non risultano interpretate in modo differente.
La questione, sicuramente più controversa, riguarda invece le conseguenze giuridiche dell’inosservanza da parte dei verificatori di tali garanzie. Si pensi al caso in cui non venga concesso il termine dei 15 giorni per la risposta, o ancora, come nel caso della sentenza 38/2/2017 della Ctp di Reggio Emilia, il contribuente venga convocato in ufficio “personalmente” per consegnare dei documenti e, in quell’occasione, gli vengano posti dei quesiti e verbalizzate le relative risposte.
Non esiste un’espressa previsione di nullità o di inutilizzabilità delle informazioni così acquisite, nonostante l’evidente violazione della norma.
Per situazioni analoghe – ad esempio la violazione delle regole sull’accesso presso la sede del contribuente da parte dei verificatori – la Suprema corte ha riconosciuto l’invalidità dell’atto, per l’inutilizzabilità di quanto acquisito in violazione di una norma di legge, solo ove siano stati violati diritti costituzionalmente garantiti. In caso contrario, i giudici di legittimità ritengono che l’accertamento sia valido: il contribuente, ove ritenga scorretto l’operato dei verificatori, potrà agire nei loro confronti con gli ordinari strumenti di tutela (richiesta danni, responsabilità disciplinare, e, nei casi più gravi, eventuali vio- lazioni penali).
Nella vicenda esaminata dalla Ctp di Reggio Emilia, l’Agenzia aveva chiesto a un fornaio di consegnare personalmente la documentazione fiscale. Al momento della consegna al contribuente, aveva sottoposto al contribuente un questionario precompilato con richiesta di risposta immediata.
Sulla base delle risposte relative alla resa della farina, e di alcuni documenti prodotti, l’ufficio aveva poi ricostruito induttivamente i ricavi. Secondo i giudici reggiani, la Corte di cassazione (sentenze 9308/2013 e 21513/2006) interpretando l’articolo 10, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente – relativo alla buona fede che deve animare i rapporti tra contribuente e amministrazione – ha ritenuto che la tutela del legittimo affidamento del cittadino trovi origine nei principi affermati dagli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, espressamente richiamati dall’articolo 1 del medesimo Statuto. Tale principio è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa ed amministrativa. Ne consegue che l’Agenzia, procedendo all’interrogatorio del contribuente, senza averlo informato, ha violato il principio di buona fede. A maggior ragione nel caso esaminato, in cui il contribuente era stato invitato a presentarsi personalmente e l’ufficio aveva già predisposto le domande (quindi sapeva di doverlo “interrogare”). Così tutte le informazioni ottenute dalle risposte sono state considerate inutilizzabili.