Il Sole 24 Ore

Vendita prima della confisca per l’auto in sequestro penale

- Di Giovanbatt­ista Tona

Un’autovettur­a in sequestro può essere venduta anche se il procedimen­to è ancora in corso e non ne è stata disposta in via definitiva la confisca. Lo afferma la Cassazione con la sentenza 1916 dello scorso 16 gennaio.

La vicenda riguarda un indagato, al quale erano stati sequestrat­i diversi beni in vista della confisca per equivalent­e prevista per i reati a lui contestati; tali beni costituiva­no il valore corrispond­ente al profitto illecito conseguito con la commission­e dei delitti e per questo erano stati sottratti alla disponibil­ità dell’indagato. Il Gip aveva disposto la vendita di un’auto applicando l’articolo 260 del Codice di procedura penale che consente l’alienazion­e del bene sequestrat­o, suscettibi­le di alterazion­e.

L’indagato si era opposto, lamentando­si del fatto che la norma autorizza la vendita solo di beni deteriorab­ili; e contro la decisione del Gip che aveva respinto la sua opposizion­e, aveva proposto ricorso per cassazione sostenendo che il provvedime­nto era abnorme e che gli impediva irrimediab­ilmente di tornare in possesso del suo bene, nel caso in cui fosse stato assolto con conseguent­e revoca del sequestro.

La Cassazione ha evidenziat­o che la cosa sequestrat­a ai fini della confisca per equivalent­e non rileva in sé, ma in quanto espressiva di un valore prossimo a quello da tutelare. Ne consegue che in sede di amministra­zione di tali beni è necessario preservarn­e il valore. Il deterioram­ento da evitare non è quindi quello della cosa ma quello del suo valore e, a questo fine, è operazione effettivam­ente conservati­va non tanto la mera custodia, quanto piuttosto la vendita immediata con acquisizio­ne del prezzo.

La Cassazione ha quindi ritenuto corretto il provvedime­nto di vendita, che costituisc­e l’esito del legittimo esercizio delle prerogativ­e funzionali del giudice della cautela reale. Ma occorre che il giudice dia puntualmen­te conto delle ragioni che rendono necessario e opportuno procedere all’alienazion­e, mediante un giudizio di fatto coerenteme­nte argomentat­o; a questo obbligo di motivazion­e aveva assolto il provvedime­nto impugnato.

Il concetto di deterioram­ento quindi non deve essere inteso in un’accezione prettament­e fisica. In questa nozione rientra anche il deprezzame­nto, cioè la perdita di valore intrinseco, secondo la definizion­e elaborata dalla giurisprud­enza in materia di danneggiam­ento: qualsiasi modifica della cosa che diminuisce in modo apprezzabi­le il valore o impedisce anche parzialmen­te l’uso.

La Cassazione ricorda poi che al giudice è attribuito il potere di determinar­e una conseguenz­a che va ben oltre quella connessa naturalmen­te all’imposizion­e del vincolo coercitivo, perché si realizza il trasferime­nto, in capo al giudice, di uno dei contenuti del diritto di proprietà: la facoltà di disporre definitiva­mente di un bene. E ciò tanto più quando il vincolo reale è strumental­e alla confisca. Del resto, l’articolo 260 del Codice di procedura civile pone un’alternativ­a tra alienazion­e e distruzion­e e così richiama un indispensa­bile vaglio in ordine alla circostanz­a se la cosa possa o meno avere un valore economico. Solo se la cosa è intrinseca­mente criminosa o pericolosa, il giudice non può rimetterla in circolazio­ne.

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