Il Sole 24 Ore

Il rendez-vous impossibil­e di Parigi sui conti pubblici

- Attilio Geroni

Quando è stata l’ultima volta che la Francia ha rispettato gli obiettivi di bilancio? Nel lontano 2007, primo anno dell’era Sarkozy, un’era carica di promesse e alla fine ricca di delusioni. Bruxelles ha sempre chiuso un occhio, anche due, di fronte alla cronica incapacità di Parigi di mantenere il rapporto deficit/Pil sotto il 3%. In questi anni lo “sconto” sui tagli alla spesa non è servito tra l’altro a rilanciare in maniera sostenibil­e crescita e occupazion­e, creando un terreno fertile per il radicament­o politico, sul territorio, del Fronte nazionale di Marine Le Pen. Le previsioni economiche della Commission­e europea dicono che anche in quest’anno elettorale la Francia è a rischio (2,9%) mentre nel 2018 è previsto l’ennesimo sforamento (3,1%).

La crescita economica, sia pure in accelerazi­one dall’1,1% all’1,4% l’anno prossimo, non basta da sola a riportare i conti pubblici in ordine, come Parigi promette di fare da un decennio. Ci vorranno misure importanti di aggiustame­nto della spesa che non tutti i candidati alle presidenzi­ali sembrano intenziona­ti a promuovere con l’eccezione, in parte, di François Fillon, e soprattutt­o di Emmanuel Macron. Prendiamo il candidato dei Républicai­ns, che nel suo programma economico ha parlato di «uno Stato sull’orlo del fallimento» e ha promesso drastici tagli nella pubblica amministra­zione, con una riduzione dei dipendenti nell’ordine delle 500mila unità nonché un drastico ridimensio- namento nelle erogazioni del welfare. Potrebbe sembrare musica per le orecchie della Commission­e europea, ma tutto ciò, nei programmi di Fillon, non dovrebbe avvenire subito. Prima ci sarà la grande riforma fiscale, con sgravi da 50 miliardi di euro per innescare uno «shock da crescita» (utilizzò le stesse parole per presentare un suo piano quando era primo ministro di Sarkozy e lo shock da crescita in Francia non si è mai materializ­zato) e prima il deficit, già quest’anno dovrebbe salire al 4,7%. Con buona pace di Bruxelles.

In realtà, l’unico a mantenere, almeno apparentem­ente, una linea ortodossa sui conti pubblici, è il candidato indipenden­te Emmanuel Macron. Ex ministro dell’Economia di François Hollande, l’enfant prodige della politica francese che con il suo movimento En Marche! è al secondo posto nei sondaggi con il 23%, si impegna a rispettare il Fiscal Compact perché, secondo lui, «è uno strumento che dà credibilit­à alle politiche di bilancio». Il problema con Macron è che al momento non c’è visibilità sul suo programma elettorale, atteso nelle prossime settimane, forse all’inizio di marzo.

Il problema della finanza pubblica, di uno sforamento ormai cronico, non si porrebbe con Marine Le Pen, la leader del Fronte nazionale che guida stabilment­e i sondaggi del primo turno (2526% delle preferenze. In senso negativo, ovviamente, poiché il programma dell’estrema destra populista si fa beffe delle regole europee sulle politiche fiscali e proprio contro queste regole conta di far conquistar­e alla sua candidata l’Eliseo. Via dall’euro, via dall’unione europea e rinazional­izzazione delle prerogativ­e politiche più importanti. Se dovesse vincere Marine tutto questo minuetto sul rispetto di Maastricht, spesso patetico e confinato allo zero virgola, rischiereb­be di essere consegnato alla storia.

DEFICIT CRONICO È dal 2007 che la Francia non centra gli obiettivi di bilancio A rischio anche quest’anno e il prossimo

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