L’urgenza è ancora il debito Pil e inflazione fattori-chiave
Nessuna stabilizzazione del rapporto debito/Pil, come ribadisce il Governo in tutti i recenti documenti inviati a Bruxelles. Al contrario, è previsto per il 2017 un aumento al 133,3%, contro il 132,8% dello scorso anno. Stando al «Documento programmatico di bilancio», l’asticella quest’anno dovrebbe invece collocarsi al 132,6%, e al 130,1% nel 2018 (133,2% secondo la Commissione europea).
Le nuove previsioni di Bruxelles non fanno sconti all’Italia per quel che riguarda l’andamento del debito, oggetto tra breve di uno specifico rapporto in cui si porrà nuovamente l’accento sulla «deviazione significativa» dal percorso individuato dalle regole europee. Non è rispettata la «regola del debito», dunque, anche se una parte dell’incremento previsto per quest’anno è da attribuire – si legge nel Report sull’Italia - alle risorse dirette al «supporto pubblico del settore bancario e degli investitori retail». È lo scudo di 20 miliardi che il Governo ha messo in campo a titolo “precauzionale” per porre in sicurezza il sistema bancario, il cui impatto è valutato come “temporaneo” e quindi senza effetti sui saldi strutturali.
Permangono divergenze tra Roma e Bruxelles sul calcolo del Pil potenziale, come ribadisce il Rapporto sui fattori rilevanti inviato alla Commissione Ue. E tuttavia non vi è dubbio che le stime pubblicate ieri pongono in assoluta evidenza un dato: ben al di là della mini-correzione di 3,4 miliardi chiesta da Bruxelles per ridurre il deficit 2017 (peraltro già dimezzata rispetto allo scostamento dello 0,4% evidenziato nei mesi scorsi), il problema numero uno resta il debito pubblico. Si possono mettere in campo diversi fattori rilevanti, ed è corretto farlo: l’alto livello del risparmio privato è tra questi, ma anche la sostenibilità di medio periodo garantita dalle ultime riforme delle pensioni. Tuttavia, di fronte all’evidenza dei dati, si trae la conferma che questa è (e resta) la priorità assoluta per l’attuale governo (sia pur nei limiti temporale del suo mandato) e di qualsivoglia governo sarà chiamato a guidare il Paese nei prossimi anni.
È un’urgenza assoluta, per assicurare un futuro al paese, e non perché lo impongono le regole europee. Come affrontarla? Di certo, la confusa rincorsa al voto anticipato rispetto alla scadenza naturale di febbraio 2018 alimenta l’incertezza. E i mercati sono lì a ricordarcelo con lo spread che la scorsa settimana ha raggiunto i 200 punti base. A pesare sono le incognite sul dopo voto, in mancanza della nuova legge elettorale. Quindi la variabile politica ha un peso determinante ed è strettamente connessa al principale addendo, la crescita. Già perché se riuscisse a spuntare incrementi del Pil decisamente più sostenuti di quel che si prevede quest’anno (0,9% secondo la Commissione Ue, l’1% secondo il Governo), l’avvio del percorso di riduzione del debito avverrebbe senza traumi o manovre dall’effetto certamente depressivo.
Anche l’inflazione può venire in soccorso, considerato che il 2016 è stato un anno di sostanziale deflazione. Un incremento dei prezzi quanto meno in linea con i dati registrati in gennaio per l’eurozona (1,8% sospinto dall’effetto energia) contribuirebbe a ridurre il debito che è espresso in termini nominali. Quanto all’apporto delle privatizzazioni, il rischio (anch’esso tutto politico) è che l’accelerazione verso il voto possa ostacolare la road map su cui si è orientato il Mef (seconda tranche di Poste e vendita di parte di Fs). Lo attestano la frenata del ministro dei Trasporti, Graziano Delrio («Ho dei problemi a privatizzare le Frecce con dentro il trasporto regionale»), ma anche i dubbi sulla privatizzazione di Poste espressi nei giorni scorsi dal sottosegretario allo Sviluppo economico, Alberto Giacomelli.
PRIVATIZZAZIONI L’apporto dalla vendita di Poste (seconda tranche) e Fs resta esposto al rischio di un voto anticipato