Non si arresta la fuga di capitali dagli Emergenti
Dopo i 616 miliardi di dollari volatilizzati nel 2016 e i 735 nel 2015, i mercati emergenti sembrano destinati ad assistere a una nuova emoraggia di capitali, secondo le stime pubblicate la settimana scorsa dall’Institute of International Finance (Iif). L’impennata di acquisti di asset finanziari registrata nelle prime settimane dell’anno potrebbe quindi avere il fiato corto, tanto che l’Istituto di Washington, che riunisce 500 delle maggiori banche commerciali e società d’investimento del mondo, prevede un saldo netto negativo di 489 miliardi di dollari per il 2017.
La fuga colpirebbe in modo pesante la Cina, alle prese con la sua difficile transizione economica. Pechino continuerà a perdere capitali, con un deflusso netto stimato in 560 miliardi di dollari. Qui l’allarme è alto già da tempo, tanto da aver spinto le autorità a varare una serie di misure per arginare la fuga, anche a costo di rimangiarsi parte delle promesse di liberalizzazione e internazionalizzazione dello yuan, fatte per entrare a far parte del paniere delle valute di riserva del Fondo monetario.
Gli altri 24 Paesi presi in considerazione dall’Iif registreranno nel complesso un saldo positivo per 70 miliardi di dollari, comunque piuttosto contenuto.
A gennaio, nei listini azionari e obbligazionari degli Emergenti, secondo i dati Iif, sono entrati 12,3 miliardi di dollari di capitali esteri. Un rimbalzo dopo i mesi negativi di dicembre (-1,2 miliardi) e novembre (-30 miliardi), determinato dal miglioramento delle condizioni macroeconomiche e da quotazioni ritenute ancora “a sconto”. L’istituto mette però in guardia dalle incertezze legate all’amministrazione Trump e alle decisioni che effettivamente prenderà sul commercio internazionale e sugli investimenti all’estero. «Un atteggiamento più protezionistico - afferma il report - danneggerebbe l’economia globale e avrebbe un impatto rilevante sui flussi finanziari».
I minacciosi inviti del neopresidente a riportare le “fabbriche” negli Stati Uniti, se seguiti da misure concrete come la Border Adjustment Tax, potrebbero tradursi in una erosione degli investimenti diretti esteri (Ide) nei Paesi emergenti. E non solo di quelli statunitensi, dato che Trump ha messo eplicitamente nel mirino le multinazionali estere, dalle quali pretende che producano negli Usa i beni che vogliono vendere negli Usa. L’Iif ha così abbassato sensibilmente le previsioni sugli Ide negli Emergenti, a cominciare, ovviamente, da quelli in Messico. Questi flussi si sono già ridotti dai 526 miliardi di dollari del 2015 ai 410 nel 2016 e per il 2017 si stima una nuova contrazione a quota 385 miliardi, ai minimi dalla crisi finanziaria globale. Meno Ide significa meno risorse per l’economia reale, meno occupazione e meno crescita.
Ci sarà poi da fare i conti con il graduale cambio delle politiche monetarie della Fed e delle altre Banche centrali dei Paesi avanzati, che segnerà la fine, per quanto lenta, dall’era dei rendimenti ultra-bassi e che metterà alla prova la tenuta macroeconomica degli Emergenti.
Per questi motivi, l’Iif ritiene
UN 2017 IN ROSSO L’Istituto che riunisce le più importanti banche del mondo stima un saldo negativo di 489 miliardi di dollari
troppo ottimistiche le aspettative degli operatori di mercato sugli Emergenti, le cui società peraltro potrebbero andare incontro a profitti minori del previsto, soprattutto in caso di contrazione del commercio globale.
Come nota Union Bancaire Privée, il fattore Trump può rivelarsi positivo per gli Emergenti, nella misura in cui le sue politiche accelereranno la crescita americana e gli investimenti in infrastrutture, trascinando così al rialzo i prezzi delle materie prime. Ma potrebbe essere negativo se, oltre a spingere l’acceleratore sul protezionismo, la nuova amministrazione innescherà un forte rialzo dell’inflazione e quindi dei rendimenti dei titoli Usa, che finirebbero per assorbire flussi di capitale.
Altro fattore di rischio, sottolinea l’Iif, sono le elezioni in programma in Europa, a cominciare dalle presidenziali in Francia. La vittoria dei movimenti populisti darebbe ulteriore spinta al protezionismo e alle rilocalizzazio-ni, anche su questa sponda dell’Atlantico.