Per l’edificabilità del terreno è sufficiente il piano generale
Anche se manca lo strumento attuativo
pI terreni inseriti nei piani strutturali comunali nell’ambito di nuovi insediamenti devono essere considerati edificabili ai fini fiscali, anche in assenza del piano operativo che regola la reale possibilità di trasformazione del territorio. Lo ha statuito la Corte di cassazione con la sentenza n. 2107 del 27 gennaio 2017.
Ancorché la pronuncia, molto attesa da enti impositori e contribuenti considerando il rilevante contenzioso pendente presso le commissioni tributarie, abbia riguardato i riflessi fiscali dei nuovi strumenti urbanistici che diversi comuni dell’Emilia Romagna hanno adottato in ossequio alla l.r. 20/2000, i principi in essa contenuta avranno inevitabili effetti, con riguardo a qualsiasi tributo, anche nelle altre regioni ove sono stati abbandonati i tradizionali strumenti urbanisti in favore di una più moderna pianificazione del territorio.
Venendo al caso di specie, due contribuenti avevano impugnato cinque avvisi di accertamento Ici (per gli anni d’imposta dal 2004 al 2008) con il quale il comune pretendeva l’imposta per un terreno sulla base del valore di mercato anziché su quello catastale. I ricorrenti ritenevano infatti che il terreno dovesse essere considerato agricolo, anche ai fini Ici, in quanto il fatto che il nuovo piano strutturale comunale (Psc) avesse ricom- preso il terreno in un ambito destinato a nuovi insediamenti residenziali sarebbe stato irrilevante fino all’adozione del piano operativo comunale (Poc).
Sia la commissione tributaria provinciale che quella regionale condividevano l’assunto dei contribuenti in base al rilievo che l’articolo 28 della l.r. 20/2000, definendo il Psc strumento di pianificazione urbanistica generale predisposto dal comune per delineare le scelte strategiche di assetto e sviluppo, non gli attribuisce alcuna pote- stà edificatoria, a differenza del Poc che regola invece la reale possibilità di trasformazione del territorio.
Di diverso avviso è stata invece la Cassazione. Secondo i giudici del Palazzaccio l’edificabilità di un terreno ai fini della determinazione del suo valore venale non può, una volta che essa è riconosciuta da uno strumento urbanistico generale, ritenersi inficiata dalla eventuale mancanza di un piano particolareggiato o attuativo. E ciò in ossequio all’indirizzo giuri- sprudenziale di legittimità incentrato sull’articolo 36, comma 2, del dl 223/2006, convertito dalla legge 248/2006, secondo il quale l’edificabilità di un’area ai fini fiscali deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione da parte della regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi (Cassazione 21156/2016, 11182/2014 ed altre). Richiamando i principi già espressi dalle sezioni unite n. 25506/2006, la Corte ha pertanto ritenuto che i terreni collocati dal Psc in un ambito destinato a nuovi insediamenti residenziali debbano essere considerati edificabili, a nulla rilevando che la potestà edificatoria possa conseguire unicamente dall’inclusione del terreno nel Poc trattandosi, quest’ultimo, di uno strumento urbanistico che incide sul mero ius edificandi. Nonostante l’articolo 28 della l.r. 20/2000 sia stato modificato nel 2009 con l’introduzione dell’inciso che «il Psc non attribuisce in nessun caso potestà edificatoria alle aree né conferisce alle stesse una potenzialità edificatoria subordinata all’approvazione del Poc», dalla sentenza 2107/2017 è dato desumere che ai fini fiscali tale precisazione sia comunque irrilevante avendo solo riflessi di natura urbanistica. La sonora bocciatura popolare nel week della nuova legge federale - sospettata di troppe agevolazioni per le multinazionali, a danno quindi delle imprese residenti - rischia infatti di avere conseguenze nel percorso di “emersione” della Confederazione e di avere ripercussioni anche sulle varie black list mondiali in cui ancor oggi è inserita.
Black list che, almeno ai fini delle voluntary italiane, la Svizzera ha comunque abbandonato dal 2015, giocando un ruolo fondamentale nella riuscita della prima Vd tricolore, in cui ha “rappresentato” 41 dei 60 miliardi emersi.
Lo scenario della nuova campagna di emersione comunque è molto diverso, a giudizio degli esperti riuniti ieri alla Camera di commercio Svizzera a Milano. A cominciare dagli italiani che hanno voluto restarne fuori nel 2015: «Attenzione a chi ha trasferito, più o meno realisticamente, la residenza nella Confederazione negli ultimi cinque anni - ha detto l’avvocato (ed ex procuratore pubblico) Paolo Bernasconi - i problemi per loro inizieranno da subito, con l’invio delle liste alle Entrate da parte dei comuni italiani, atto dovuto per legge». Anche chi ha pensato di non comunicare all’Aire il trasferimento di residenza non può stare tranquillo, ha aggiunto la responsabile dell’Accertamento Lombardia, Angela Calcò, perché «le informazioni arriveranno automaticamente anche dagli intermediari».
L’incontro nella sede rossocrociata di Milano è stata anche l’occasione per fare il punto su alcune criticità aperte dalla nuova campagna di rientro, a cominciare dal nuovo
IL PRINCIPIO La facoltà di costruire su un’area deve essere desunta dalla qualificazione inserita nello strumento urbanistico principale