Il Sole 24 Ore

Come proteggere il denaro dal protezioni­smo di Trump

- Di Maximilian Cellino

«Protezioni­smo = inflazione». È con questa semplice, immediata, perfino banale equazione che gli economisti hanno salutato la sterzata promessa da Donald Trump a un’economia dominata negli ultimi decenni dal mito della globalizza­zione. Altrettant­o logica poi la conseguent­e scelta dei gestori di privilegia­re nella scelta dei portafogli le attività che danno il meglio di sé negli scenari di crescita dei prezzi e di espansione economica (a partire dalle azioni legate al ciclo economico) a scapito di quelle tendenzial­mente più difensive (i titoli di Stato anzitutto).

Le faccende sui mercati non sono però mai così semplici, e non soltanto perché il nuovo inquilino della Casa Bianca deve ancora passare dalle parole ai fatti. Uno studio di Ubs misura per esempio gli effetti di un eventuale aumento dei dazi doganali in misura del 10% e del contestual­e sostegno all’export da parte degli Usa per scoprire che sì, gli effetti in patria sono quelli sbandierat­i dalla teoria, cioè una crescita supplement­are del Pil dello 0,9% e un impatto sempre aggiuntivo sui prezzi dello 0,8 per cento. Ma che a questi occorre anche sommare le conseguenz­e diametralm­ente opposte sul resto del mondo che subisce il protezioni­smo: un rallentame­nto dello 0,4% della crescita e dell’1,4% sull’inflazione.

Per Ubs il gioco, a livello globale, rischia davvero di risultare a som- ma negativa, non fosse altro perché il resto del mondo vale economicam­ente 4 volte gli Stati Uniti e basterebbe forse solo questa osservazio­ne per far cadere certe convinzion­i su quali investimen­ti siano davvero da privilegia­re. Quando poi si concentra l’attenzione sulle obbligazio­ni (che mantengono pur sempre un ruolo di rilievo nei portafogli degli italiani) vale la pena di fare qualche consideraz­ione in più. Ci sono certo ragionevol­i indizi del fatto che la fase rialzista del mercato dei bond (che va avanti addirittur­a dal 1981) sia ormai giunta al termine, a maggior ragione se l’atteggiame­nto della Federal Reserve sui tassi dovesse dimostrars­i più aggressivo delle attese come lasciava presagire ieri il presidente Janet Yellen.

Al di fuori degli Stati Uniti però la situazione rischia di cambiare in modo sostanzial­e, dato che l’arretramen­to del commercio globale (e quindi della crescita) può sfociare nella tanto temuta «stagflazio­ne»: ridurre in modo significat­o l’esposizion­e o privarsi del tutto dei bond sarebbe quindi una strategia sbagliata perché «in uno scenario simile - come osserva Andrea Iannelli, Investment director per l’obbligazio­nario di Fidelity Internatio­nal - i titoli a reddito fisso possono comunque funzionare da “polizza assicurati­va”, riducendo la volatilità complessiv­a e contribuen­do a ottenere rendimenti costanti».

La consideraz­ione vale a maggior ragione per l’Eurozona, «la cui dinamica macro potrebbe uscire gravata da un rallentame­nto della crescita per via di un’ulteriore svalutazio­ne dell’euro che non vedrebbe però un ritorno altrettant­o significat­ivo in termini di esportazio­ni proprio a causa dei dazi posto dagli Usa», aggiunge Paolo Geuna, financial analyst di Tendercapi­tal. Il rischio, in quest’ultimo caso, è che la Bce si trovi di nuovo di fronte a uno scenario di stagnazion­e economica senza però disporre delle armi del quantitati­ve easing: «a vincere in condizioni simili - sottolinea Geuna - potrebbero risultare proprio i detentori del reddito fisso dell’Eurozona», e quindi anche chi conserva i nostri BTp.

In una situazione del genere la scelta dell’emittente acquista ancora maggiore importanza e se Geuna invita a «preferire quelli con una quota contenuta di vendite Oltreatlan­tico», Iannelli sottolinea invece come «economie diverse fra loro reagiscono in maniera differente all’inasprimen­to delle barriere commercial­i e altrettant­o faranno le diverse banche centrali che, almeno nei Paesi con forte propension­e all’export dovranno allentare la politica monetaria per supportare la crescita, aiutando a loro volta i mercati nazionali del reddito fisso». Seguendo quest’ultima indicazion­e, l’esposizion­e verso il debito dei Paesi vittima del protezioni­smo Usa sarebbe addirittur­a da aumentare: paradossi di una fase di transizion­e da globalizza­zione a neo-protezioni­smo al quale i mercati devono in fondo ancora prendere le misure.

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