Il Canada anti-Trump cerca spazi in Europa
La visita in Europa del primo ministro canadese Justin Trudeau che oggi parlerà dinanzi al Parlamento a Strasburgo non potrebbe caricarsi di maggiori aspettative. Il suo discorso, centrato sull’importanza del libero commercio e sull’esigenza di inquadrare i rapporti tra gli Stati in una cornice multilaterale, segue il voto favorevole di ieri dei parlamentari europei sul Ceta, l’accordo di libero scambio e cooperazione economica tra Ue e Canada.
La strategia del giovane leader è di caricare di effetti simbolici questo passaggio, a cominciare dalla sua stessa presenza a Strasburgo.
Il suo, oggi, è tra i pochissimi Paesi dell’Occidente a difendere con forza e coerenza i valori liberali. Quando altri chiudono, o minacciano di chiudere, le frontiere agli immigrati e ai rifugiati, lui le apre. Quando altri denunciano i trattati commerciali in essere, lui ne negozia di nuovi. Infine, quando altri si preoccupano della presidenza Trump, lui ha già messo a punto una strategia di ingaggio.
Lo ha capito bene Angela Merkel che domani lo riceverà a Berlino. Assediata nella sua solitudine europea, la Cancelliera tedesca intende ricalibrare le relazioni transa- tlantiche in chiave canadese. Per la Germania, il Canada di Justin Trudeau non è solo il Paese politicamente più stabile e socialmente coeso del G7, ma rappresenta il canale di accesso all’amministrazione Trump che Trudeau ha visitato proprio lunedì, mietendo un considerevole successo.
È in questo contesto che il Ceta assume, per entrambi i leader politici, un’importanza strategica. Trudeau ha bisogno che la Ue lo approvi non solo per aver accesso al più grande mercato mondiale, ma per farlo valere nei negoziati per la revisione del Nafta. In aree come appalti pubblici, protezione degli investimenti, dispute stato-investitore, e cooperazione sugli standard regolamentari, il Ceta è significativamente più avanzato ri- spetto all’ultraventennale trattato del Nafta.
L’approvazione del primo inevitabilmente demarca il perimetro negoziale per la revisione del secondo, dal quale anche gli aggressivi negoziatori americani possono difficilmente fuoriuscire. In tal modo, per il Canada si moltiplicherebbero le possibilità di accesso al mercato americano, incluso quello degli appalti pubblici, e per la sua economia, si accrescerebbero le spinte riformiste volte ad ammodernare il mercato interno ancora costellato da barriere inter-provinciali di vario tipo.
Per la Germania, il Ceta rappresenta l’occasione per controbattere alle accuse neomercantiliste che provengono dall’amministrazione Trump (e non solo), che ha punta- to il dito sul suo strutturale avanzo corrente, affondando il negoziato per il Ttip, l’accordo commerciale e di cooperazione economica tra Ue e Stati Uniti.
Paradossalmente, ora che il Ttip è stato accantonato, la piena ratifica del Ceta dovrebbe essere più agevole. Ma per evitare rischi, i due leader politici puntano sull’approvazione del Parlamento Ue (appena ottenuta) e quella del Parlamento canadese (prossima, ma scontata) così da rendere possibile l’introduzione della maggior parte delle clausole del trattato entro la tarda primavera. Verrebbe rinviato al futuro, invece, il processo di ratifica di parlamenti nazionali e regionali nella Ue per la parte residuale dell’accordo, così da disinnescarne la carica politica mostrando che il Ceta, nella sostanza, è divenuto già operativo e funzionante.
Ma Trudeau non intende correre altri rischi sul Ceta e a sugellare questa nuova partnership con Berlino i nvierà, nelle prossime settimane, il leader politico che sino a giorni fa era il suo ministro degli Esteri, Stéphane Dion, nella capacità di super ambasciatore, con base in Germania, ma doppio incarico a Berlino e a Bruxelles – un caso senza precedenti nella storia diplomatica canadese. Eppure le ambizioni del giovane leader canadese non si fermano a Berlino o a Bruxelles: mesi fa, quando la sorte del Ceta sembrava compromessa, avviava negoziati con la Cina per un trattato bilaterale di libero scambio.
Per Merkel, oltre a puntellare i suoi valori liberali, Trudeau rappresenta l’accesso all’unico leader politico che ha elaborato una strategia di ingaggio con Trump. Giorni prima del suo insediamento alla Casa Bianca, Trudeau effettuava un rimpasto di governo rimuovendo proprio Dion, politico di lungo corso del Québec. Il marcato accento francese, la forte personalità politica, e un passato da ministro dell’Ambiente impegnato nella lotta contro il cambiamento climatico lo rendevano poco idoneo a negoziare con l’ex amministratore delegato della ExxonMobil, ora segretario di Stato americano.
Al suo posto, la duttile Chrystia Freeland, abile negoziatrice che ha portato a casa la quasi ratifica del Ceta nel suo ruolo precedente di ministro del Commercio, pragmatica e con un network di contatti a Washington che le ha dato immediato accesso alla leadership congressuale e al neosegretario di Stato pochi giorni dopo la sua conferma da parte del Senato.
Sullo sfondo, rimane l’incognita del potente vicino di casa e il perimetro politico che Trump intende concedergli. Se Trump insiste nell’erigere un muro, anche solo simbolico attorno agli Stati Uniti, anche Trudeau dovrà, alla fine, scegliere da quale parte del muro collocarsi.