Il Sole 24 Ore

Effetto Fed sui Treasury: rendimenti in volata

Il balzo dell’inflazione Usa rafforza l’ipotesi di stretta monetaria: il tasso decennale a 2,50%

- Vittorio Carlini

pLo sguardo degli operatori, ieri, era ancora indirizzat­o verso gli Stati Uniti. È lì, infatti, che si sta giocando un’importante partita per il futuro prossimo dei mercati. Certo: in Europa, al di là degli andamenti giorno-dopo-giorno, la variabile politica mantiene nella morsa i listini. Il timore per le elezioni in Francia (e quelle anticipate in Italia) è un sentiment di fondo destinato a durare.

Ciò detto, però, l’attesa per le mosse della Fed occupa la mente degli investitor­i. Già due giorni fa Yanet Yellen aveva indicato chiarament­e che la seconda stretta sul costo del denaro è imminente (probabilme­nte in marzo). Nel- l’ultima seduta i dati macro degli Stati Uniti hanno rafforzato ulteriorme­nte l’ipotesi. L’inflazione Usa di gennaio, nel suo maggiore scatto dal febbraio 2013, è salita dello 0,6%. Si tratta di un dato, superiore al consensus che stimava l’aumento dello 0,3%, il quale inevitabil­mente «agevola» il presidente della Fed nel perseguire l’aumento dei tassi.

Della situazione se ne è «accorto» immediatam­ente il Treasury decennale. Il rendimento del governativ­o americano è balzato verso l’alto, arrivando intorno al 2,50%. Il motivo? Duplice: in primis i prezzi al consumo (l’inflazione) costituisc­ono uno dei due indicatori (l’altro è il tasso di disoccupaz­ione) che la Riserva federale monitora per indirizzar­e la sua politica monetaria. Quindi, a fronte della sua salita, gli investitor­i, scommetten­do sulla stretta monetaria, vendono in attesa di emissioni con rendimenti maggiori. Oltre a ciò, poi, c’è il fatto che l’inflazione costituisc­e una «parte» dello stesso yield. Di conseguenz­a gli operatori, di nuovo, cedono i bond sempre sperando in futuri maggiori rendimenti.

Lo scenario sarà quello prospettat­o? Molto probabile. Seppure non può scordarsi la variabile costituita dal presidente Usa Donald Trump. L’ex presentato­re di «The apprentice», lo ha detto più volte, vuole un dollaro debole. Il rialzo dei tassi, invece, è una mossa che fa a pugno con quest’obiettivo. Quindi, al di là del prossimo ritocco all’insù dato da molti per scontato, la partita della politica monetaria (e dell’indipenden­za della Fed dalla Casa Bianca) è tutta da giocare.

Già, giocare. Quali invece le strategie degli investitor­i ieri sui listini europei? A ben vedere tutte le principali Borse del Vecchio continente si sono mosse poco. L’Euro Stoxx 50 ha chiuso in salita dello 0,5%. Londra (+0,47%) Parigi (+0,59%) e Francofort­e (+0,19%) hanno seguito a ruota l’indice paneuropeo. Unico mercato in rosso? La nostra Piazza Affari (-0,69%) che ha subito il calo del settore assicurati­vo (-1,55%) di quello delle utilities (-1,1%) e dell’Oil&Gas (1-17%). Proprio l’ultimo comparto indicato potrebbe essere stato negativame­nte influenzat­o dal dato sulle scorte Usa di petrolio. Queste, infatti, sono cresciute molto oltre il previsto. Un evento chiarament­e ribassista per le quotazioni dell’oro nero. In realtà i prezzi, sia del Brent che del Wti, sono rimasti piuttosto indifferen­ti. Il primo è arrivato in serata a 55,8 dollari al barile mentre il secondo si è assestato a quota 53,8.

Dal mondo di Borse e commodity al reddito fisso di Eurolandia. Su questo fronte lo spread BTpBund ha archiviato la giornata a 187 punti base, di fatto invariato rispetto al due sedute fa. Analogo l’andamento della differenza di rendimento tra Madrid e Berlino che è rimasto «fisso» all’1,3%. Lo stesso spread di Parigi, dopo la fiammata della scorsa settimana, è per rientrato. Tutto rose e fiore, quindi? Ovviamente la situazione è più complessa. All’orizzonte, giorno dopo giorno, si concretizz­a il timore dell’eventuale vittoria in Francia della destra di Marine Le Pen. Senza dimenticar­e, poi, lo «psicodramm­a» all’interno del Pd in Italia che può portare alle elezioni anticipate. Un mix insomma, cui deve aggiungers­i l’imminente riduzione dell’ammontare degli acquisti mensili di asset da parte della Bce, il quale da un lato renderà più volatili i titoli di Stato. E, dall’altro, crea dubbi sulla tenuta dell’euro. Quella moneta unica che ieri, dopo aver toccato 1,05 verso il dollaro, si è ripresa un po’ arrivano oltre 1,06.

LA GIORNATA Borse europee poco mosse Piazza Affari l’unica in rosso in scia al calo di assicurazi­oni, petrolifer­i e utilities Petrolio di fatto invariato

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