Il Sole 24 Ore

Le attese del mercato e le promesse di Trump

- Walter Riolfi

Non afferrando il senso di quello strana reazione, c’è chi dice siano state le dimissioni del consiglier­e per la sicurezza Michael Flynn a far indebolire il dollaro. Ma è assai più probabile, come suggerisco­no altri, che gli operatori abbiano deciso di «prendere profitto», dopo i rialzi delle precedenti sedute. Come spesso avviene in questi casi, la reazione della valuta americana parrebbe in apparenza paradossal­e, poiché concomitan­te a un balzo dell’inflazione superiore alle attese e a una robusta crescita delle vendite al dettaglio.

Tuttavia, un arretramen­to del dollaro, tale da annullare di fatto anche il rialzo di martedì, seguito al presunto poco accomodant­e messaggio di Janet Yellen sui tassi d’interesse, stride un poco con l’ulteriore risalita del rendimento dei Treasury e, soprattutt­o, con il più marcato rialzo dei rendimenti impliciti nei future sui Fed fund. Ora il mercato s’aspetta una stretta di 25 centesimi a giugno e un’altra piena a dicembre. Ma si sa che sul mutevole umore degli operatori non è il caso di fare affidament­o.

Va notato che al 2,5%, il Treasury decennale esprime un rendimento reale pari a zero, poiché proprio al 2,5% è la crescita dell’inflazione misurata dall’indice Cpi. Si dirà che la Federal Reserve predilige altri metri, ma è assai probabile che anche il Pce core, ossia depurato da energia e alimentari, possa salire al 2% (1,7% a dicembre), l’obiettivo indicato dalla Fed. Lo sapremo fra meno di due settimane.

La Borsa di Wall Street è rimasta invece indifferen­te alle reazioni dei Treasury e del dollaro e, come succede da tempo, continua a guardare alle lusinghe della rivoluzion­e Trump. La scorsa settimana, la promessa di un «fenomenale» taglio delle tasse le aveva ridato vigore (e nuovi record); ieri il ribadito impegno di Trump a una «massiccia» revisione delle tasse societarie e personali, l’ha spinta a nuovi massimi. Se non si conosce ancora l’entità dei tagli fiscali, l’uso degli aggettivi accresce la sensazione che si tratterà di gran cosa. Chi ritiene eccessivo il 13% messo a segno dall’S&P da inizio novembre non tiene conto dell’irrefrenab­ile ottimismo che ha pervaso i piccoli investitor­i americani (opportunis­ticamente cavalcato anche dai grandi) e le piccole imprese.

È evidente che il gioco delle attese, tenuto vivo proprio dal tenore delle promesse, spiega anche il balzo dell’ottimismo tra i piccoli imprendito­ri americani, come dimostra il rialzo dell’indice Nfib al massimo da oltre due lustri. Nota Moody’s Analytics che, mentre ad ottobre solo una piccola porzione di imprendito­ri s’aspettava un migliorame­nto delle condizioni economiche, «un mese dopo le elezioni» gli ottimisti erano diventati il 50%, con un cambiament­o così straordina­rio che solo la psicologia può interpreta­re. Tanto ottimismo sull’economia americana, conclude Moody’s, «è eccessivo». E probabilme­nte sovrabbond­ante è pure l’effervesce­nza di Wall Street. Ma nel gioco delle aspettativ­e, tenute alte da reiterate e più roboanti promesse, sappiamo che gli eccessi possono avere vita lunga.

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