Le attese del mercato e le promesse di Trump
Non afferrando il senso di quello strana reazione, c’è chi dice siano state le dimissioni del consigliere per la sicurezza Michael Flynn a far indebolire il dollaro. Ma è assai più probabile, come suggeriscono altri, che gli operatori abbiano deciso di «prendere profitto», dopo i rialzi delle precedenti sedute. Come spesso avviene in questi casi, la reazione della valuta americana parrebbe in apparenza paradossale, poiché concomitante a un balzo dell’inflazione superiore alle attese e a una robusta crescita delle vendite al dettaglio.
Tuttavia, un arretramento del dollaro, tale da annullare di fatto anche il rialzo di martedì, seguito al presunto poco accomodante messaggio di Janet Yellen sui tassi d’interesse, stride un poco con l’ulteriore risalita del rendimento dei Treasury e, soprattutto, con il più marcato rialzo dei rendimenti impliciti nei future sui Fed fund. Ora il mercato s’aspetta una stretta di 25 centesimi a giugno e un’altra piena a dicembre. Ma si sa che sul mutevole umore degli operatori non è il caso di fare affidamento.
Va notato che al 2,5%, il Treasury decennale esprime un rendimento reale pari a zero, poiché proprio al 2,5% è la crescita dell’inflazione misurata dall’indice Cpi. Si dirà che la Federal Reserve predilige altri metri, ma è assai probabile che anche il Pce core, ossia depurato da energia e alimentari, possa salire al 2% (1,7% a dicembre), l’obiettivo indicato dalla Fed. Lo sapremo fra meno di due settimane.
La Borsa di Wall Street è rimasta invece indifferente alle reazioni dei Treasury e del dollaro e, come succede da tempo, continua a guardare alle lusinghe della rivoluzione Trump. La scorsa settimana, la promessa di un «fenomenale» taglio delle tasse le aveva ridato vigore (e nuovi record); ieri il ribadito impegno di Trump a una «massiccia» revisione delle tasse societarie e personali, l’ha spinta a nuovi massimi. Se non si conosce ancora l’entità dei tagli fiscali, l’uso degli aggettivi accresce la sensazione che si tratterà di gran cosa. Chi ritiene eccessivo il 13% messo a segno dall’S&P da inizio novembre non tiene conto dell’irrefrenabile ottimismo che ha pervaso i piccoli investitori americani (opportunisticamente cavalcato anche dai grandi) e le piccole imprese.
È evidente che il gioco delle attese, tenuto vivo proprio dal tenore delle promesse, spiega anche il balzo dell’ottimismo tra i piccoli imprenditori americani, come dimostra il rialzo dell’indice Nfib al massimo da oltre due lustri. Nota Moody’s Analytics che, mentre ad ottobre solo una piccola porzione di imprenditori s’aspettava un miglioramento delle condizioni economiche, «un mese dopo le elezioni» gli ottimisti erano diventati il 50%, con un cambiamento così straordinario che solo la psicologia può interpretare. Tanto ottimismo sull’economia americana, conclude Moody’s, «è eccessivo». E probabilmente sovrabbondante è pure l’effervescenza di Wall Street. Ma nel gioco delle aspettative, tenute alte da reiterate e più roboanti promesse, sappiamo che gli eccessi possono avere vita lunga.