Caso Flynn, Trump contro Cia e Fbi
pDonald Trump, scosso da nuove rivelazioni sugli stretti rapporti dell’ex consigliere di sicurezza nazionale Michael Flynn e di altri esponenti del suo entourage con la Russia di Vladimir Putin, ha reagito ieri denunciando i media che hanno pubblicato le informazioni e le agenzie di intelligence che le avrebbero fatte filtrare. Una strategia già sperimentata - assimilando la Cia alla Gestapo e definendo la stampa il partito d’opposizione - ma che oggi solleva crescenti interrogativi sulla futura stabilità dell’amministrazione, a meno di un mese dal debutto assediata da scandali e inchieste, in corso o possibili.
«Il vero scandalo sono le soffiate illegali di materiale classificato, che l’intelligence regala come caramelle», ha attaccato via Twitter il presidente. «Molto anti-americano». Ancora: la Russia-connection durante un intero anno di campagna elettorale è un’“assurdità”, con «informazioni illegalmente passate ai falliti New York Times e Washington Post dalla comunità di intelligence (Nsa, Fbi?). Come in Russia». E i «finti mezzi d’informazione impazziscono per le teorie cospirative e l’odio». Times e Cnn, in particolare, nella notte avevano rivelato una rete di contatti frequenti nel 2016 tra esponenti della campa- gna e del business di Trump e rappresentanti dei servizi segreti del Cremlino, citando quattro attuali o ex funzionari statunitensi e intercettazioni di colloqui che avevano preoccupato l’intelligence per frequenze e statura dei protagonisti. Contenuti e nominativi sono rimasti segreti, ad eccezione di quello di Flynn e dell’ex manager elettorale Paul Manafort.
Il clima di crisi e confusione ai vertici della politica estera, nono- stante le controffensive della Casa Bianca, preoccupa sempre più sia alleati che avversari in un delicato momento di ripensamenti internazionali avviato dalla stessa amministrazione. Il segretario alla Difesa James Mattis era ieri a Bruxelles per portare un messaggio più duro nei confronti della Nato: ha ammonito i colleghi del Patto Atlantico che gli Stati Uniti potrebbero «ridurre il loro impegno» qualora i partner non aumentassero, come doveroso, la spesa militare al 2% del Pil. Pur affermando l’importanza dell’Alleanza al cospetto del terrorismo e dell’aggressività russa, Mattis ha detto che «il contribuente americano non può più sostenere un peso sproporzionato nella difesa dei valori occidentali. Non può avere più a cuore il futuro dei vostri figli di quanto non l’abbiate voi». A Washington, intanto, Trump ha dovuto gestire il vertice con il premier israeliano Benjamin Netanyahu senza un vero consigliere per la Sicurezza nazionale.
Mosca, da parte sua, ha tradito nervosismo davanti alla bufera negli Stati Uniti. I portavoce hanno negato a mezza bocca i canali aperti tra Mosca e Trump, indicando che la stampa non ha fornito dettagli e che si tratta di uno scontro interno di potere in America. Preoccupazione è tuttavia emersa per la possibilità che la pioggia di polemiche spinga la Ca- sa Bianca a irrigidire le posizioni: Trump nelle ultime ore ha twittato che la Crimea è stata presa sotto Obama, suggerendo che dovrebbe essere restituita all’Ucraina. Esponenti del ministero degli Esteri e del Parlamento russo si sono precipitati a dichiarare che Mosca non restituisce propri territori.
La spirale di tensioni nella compagine di Trump comprende tuttora difficoltà nell’approvare nomine al governo controverse: ieri sera si è ritirato il candidato a segretario al Lavoro, Andrew Pudzer, accusato di evasione fiscale e discriminazione, ed è nel mirino anche l’ambasciatore in Israele David Friedman, considerato a destra di Netanyahu. I riflettori sono però rimasti puntati sui più stretti collaboratori del Presidente all’indomani della debacle di Flynn: l’ex consigliere è oggi sospettato di violazione del Logan Act, che vieta a privati di fare politica estera, per aver discusso di sanzioni con l’ambasciatore russo a Washington prima di entrare in carica, e di aver poi mentito all’Fbi. E sulle intere elezioni torna l’ombra di connivenze con i russi. Le commissioni Intelligence e Giustizia del Congresso, oltre agli inquirenti, potrebbero voler chiarire chi era al corrente e quando di un fitto opaco network di relazioni pericolose.
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