L’urgenza di curare l’insegnamento della lingua italiana
Caro Gentili, alla denuncia delle carenze linguistiche (Il Sole 24 Ore, del 12 febbraio) vorrei aggiungere precisazioni sulle responsabilità del sistema scolastico. Da anni si parla di università che hanno attivato corsi di corretta scrittura in Italiano, ora arriva l’appello di seicento accademici che denunciano carenze degli studenti quando scrivono. Il nuovo analfabetismo è determinato soprattutto dalla carenza di lettura dei giovani e dal poco spazio che la scuola riserva alle esercitazioni scritte. In altri Paesi europei esiste uno specifico insegnante per l’apprendimento delle competenze linguistiche che cura solo l’elaborazione scritta nelle sue varie forme. Da noi, dopo la scuola elementare, di verifiche scritte se ne fanno poche. L’insegnante di italiano delle scuole medie e, specialmente, delle superiori - lo dico per diretta e lunga esperienza - dovendo far fronte a programmi vasti, è costretto, suo malgrado, a ridurle sensibilmente. Data la pluralità dei linguaggi esse andrebbero valorizzate in
tante altre discipline. Non è il solo insegnante di Italiano che potrà salvare la nostra lingua e, in particolare, quella scritta.
Domenico Testa
Itri (Latina)
Il tema della scuola, e dei gravi problemi che questa si trascina dietro, continua a far discutere. Il nuovo analfabetismo, dice lei, è causato soprattutto dalla carenza
di lettura dei giovani. Sono d’accordo, e i dati Istat e Censis, solo per fare un esempio, confermano questa chiave di lettura che si protende poi anche molto oltre. Non solo la quota dei non-lettori (quelli cioè che non leggono neanche un libro nel corso di un anno) si attesta al 56,4% della popolazione (e legge di più chi avanza con l’età nel corso degli anni), ma questa quota resta molta alta anche tra i diplomati e i laureati. Segno che il proble- ma nasce da lontano e che, come ha osservato lo scrittore inglese Aidan Chambers (da bambino, dislessico, iniziò a leggere intorno ai dieci anni e oggi è molto di più di un grande autore di libri per ragazzi) in buona sostanza «siamo quello che leggiamo». O non leggiamo. Lei cita poi, in particolare, la carenza delle esercitazioni scritte e trovo anche questo un punto pertinente. Se ne parla poco, a torto. Credo sia una questione fondamentale, come dimostrano le esperienze di molti altri Paesi che curano invece con grande attenzione questo aspetto, dalle elementari all’università. Siamo quello che leggiamo, ma anche quello che scriviamo.
@guidogentili1
Quanto valgono le parole
Il segretario del Pd Matteo Renzi qualche mese prima del referendum del 4 dicembre scorso aveva detto: «Se vince il No lascio la politica, finisce la mia carriera come politico, si può anche fare altro nella vita». Dopo due mesi di quasi silenzio, Renzi si ripresenta più baldanzoso di prima, mirando nuovamente alla presidenza del Consiglio. A mio avviso, questa è l’ennesima dimostrazione che in politica la parola data vale meno di zero. Possiamo continuare a fidarci?
Silvano Stoppa
Cesano Boscone (MI)