Il figlio può scegliere il cognome del padre biologico
Il padre “legale” non può opporsi all’accertamento della paternità naturale né può chiedere che il minore mantenga il suo cognome. La Cassazione (sentenza 4020), respinge il ricorso con il quale il padre legale del ragazzo si opponeva all’azione di disconoscimento di paternità, disposta dal curatore speciale nominato dal tribunale, su richiesta del padre biologico.
Con il ricorso il padre “legale” chiedeva anche che il minore mantenesse il suo cognome.
Secondo il ricorrente l’azione aveva l’effetto di travolgere l’equilibrio del ragazzo nella delicata fase preadolescenziale, con effetti imprevedibili sia in famiglia sua a scuola.
Inoltre al principio del favor veritatis, inteso come prevalenza della verità biologica su quella legale, non potrebbe essere riconosciuto un valore di importanza particolare e preminente. Dalla sua il ricorrente riteneva di aver l’articolo 30 della Costituzione (comma quarto) il quale dispone che “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.
La Carta avrebbe demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori costituzionali, la paternità legale rispetto a quella naturale, fissando le condizioni per far valere quest’ultima, affidandogli anche la valutazione della soluzione più idonea per realizzare l’interesse del minore. La Cassazione precisa però che, una volta valutata l’opportunità come nel caso esaminato, non esiste un potere di precludere l’accertamento di paternità. I giudici ricor- dano l’importanza del legame genetico, dal punto di vista dell’identità personale, nel quale è compreso il diritto di accertare la propria discendenza biologica, come dimostrato anche dal-l’imprescrivibilità riguardo al figlio delle azioni di stato.
L’articolo 30 della Carta va letto alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale. La conclusione, supportata da autorevole dottrina, è che la crescente considerazione del favor veritatis non si pone in conflitto con l’interesse del minore. Nel caso specifico la corte di merito ha motivato ampiamente l’interesse del minore, evidenziando il valore positivo della conoscenza della verità, in assenza del rischio di un concreto pregiudizio. L’azione disposta dal curatore non metteva, infatti, in discussione il valore positivo della relazione con il padre legale, né c’era una valutazione negativa rispetto al profilo del padre biologico che aveva dimostrato un serio interesse nei confronti del figlio. Per la Cassazione la Corte di appello ha giustamente negato anche la legittimazione a chiedere la conservazione del cognome assunto in origine dal minore, come voleva il ricorrente per tutelare il ragazzo «dai pregiudizi personali e sociali derivanti dal disconoscimento». Per la Suprema Corte, proprio a seguito dell’annotazione della sentenza di disconoscimento nell’atto di nascita, il ricorrente non poteva chiedere il mantenimento del cognome. Una decisione che, in considerazione della natura personalissima del diritto al nome, spetta solo al minore interessato.