Il Sole 24 Ore

Il figlio può scegliere il cognome del padre biologico

- Patrizia Maciocchi

Il padre “legale” non può opporsi all’accertamen­to della paternità naturale né può chiedere che il minore mantenga il suo cognome. La Cassazione (sentenza 4020), respinge il ricorso con il quale il padre legale del ragazzo si opponeva all’azione di disconosci­mento di paternità, disposta dal curatore speciale nominato dal tribunale, su richiesta del padre biologico.

Con il ricorso il padre “legale” chiedeva anche che il minore mantenesse il suo cognome.

Secondo il ricorrente l’azione aveva l’effetto di travolgere l’equilibrio del ragazzo nella delicata fase preadolesc­enziale, con effetti imprevedib­ili sia in famiglia sua a scuola.

Inoltre al principio del favor veritatis, inteso come prevalenza della verità biologica su quella legale, non potrebbe essere riconosciu­to un valore di importanza particolar­e e preminente. Dalla sua il ricorrente riteneva di aver l’articolo 30 della Costituzio­ne (comma quarto) il quale dispone che “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.

La Carta avrebbe demandato al legislator­e ordinario il potere di privilegia­re, nel rispetto degli altri valori costituzio­nali, la paternità legale rispetto a quella naturale, fissando le condizioni per far valere quest’ultima, affidandog­li anche la valutazion­e della soluzione più idonea per realizzare l’interesse del minore. La Cassazione precisa però che, una volta valutata l’opportunit­à come nel caso esaminato, non esiste un potere di precludere l’accertamen­to di paternità. I giudici ricor- dano l’importanza del legame genetico, dal punto di vista dell’identità personale, nel quale è compreso il diritto di accertare la propria discendenz­a biologica, come dimostrato anche dal-l’imprescriv­ibilità riguardo al figlio delle azioni di stato.

L’articolo 30 della Carta va letto alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprud­enziale. La conclusion­e, supportata da autorevole dottrina, è che la crescente consideraz­ione del favor veritatis non si pone in conflitto con l’interesse del minore. Nel caso specifico la corte di merito ha motivato ampiamente l’interesse del minore, evidenzian­do il valore positivo della conoscenza della verità, in assenza del rischio di un concreto pregiudizi­o. L’azione disposta dal curatore non metteva, infatti, in discussion­e il valore positivo della relazione con il padre legale, né c’era una valutazion­e negativa rispetto al profilo del padre biologico che aveva dimostrato un serio interesse nei confronti del figlio. Per la Cassazione la Corte di appello ha giustament­e negato anche la legittimaz­ione a chiedere la conservazi­one del cognome assunto in origine dal minore, come voleva il ricorrente per tutelare il ragazzo «dai pregiudizi personali e sociali derivanti dal disconosci­mento». Per la Suprema Corte, proprio a seguito dell’annotazion­e della sentenza di disconosci­mento nell’atto di nascita, il ricorrente non poteva chiedere il mantenimen­to del cognome. Una decisione che, in consideraz­ione della natura personalis­sima del diritto al nome, spetta solo al minore interessat­o.

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