Il Sole 24 Ore

Conti bancari, niente usura senza dolo

- Antonino Porracciol­o

pÈ da escludere che il superament­o del tasso-soglia nei contratti bancari sia dovuto a dolo di amministra­tori e funzionari dell’istituto di credito se non è provata la coscienza e volontà di applicare interessi usurari (articolo 644 del Codice penale). È la conclusion­e di un’ordinanza del Tribunale di Catania (giudice per le indagini preliminar­i Giancarlo Cascino) del 24 ottobre.

La vicenda scaturisce dalla denuncia presentata dal legale di una Srl, che lamentava l’applicazio­ne di tassi usurari su un conto corrente bancario intestato alla stessa società. Il pm aveva chiesto l’archiviazi­one del procedimen­to, ritenendo che mancasse l’elemento psicologic­o del reato. Contro la richiesta la società aveva presentato opposizion­e (articolo 410 del Codice di procedura penale), affermando che le consulenze allegate alla denuncia dimostrava­no invece l’esistenza dell’illecito.

Nel decidere l’opposizion­e, il giudice afferma che la notizia di reato, «seppure idonea a sostenere da un punto di vista materiale il fumus» dell’usura, non consente di affermare la «certa ricorrenza dell’elemento soggettivo» dello stes- so illecito. Neanche sotto forma di dolo eventuale, che si ha - prosegue il Tribunale, citando la sentenza 24612/2014 della Cassazione - quando l’agente, pur essendosi rappresent­ato la concreta possibilit­à del verificars­i di un fatto-reato come conseguenz­a del proprio comportame­nto, persista nella sua condotta, accettando il rischio che l’evento si realizzi.

Piuttosto, «pare assai più vicina alla realtà - si legge ancora nell’ordinanza - la conclusion­e per cui gli amministra­tori bancari, in un’ottica di massimizza­zione dei profitti», abbiano portato gli interessi debitori ai massimi consentiti dalla legge ( sino ai tassi- soglia), «confidando nelle loro capacità di calcolo e pianificaz­ione per evitarne, ovviamen- te, il superament­o».

Lo sconfiname­nto degli interessi in territorio usurario si era dunque verificato per errore di previsione o di calcolo, mancando «un profitto o tornaconto diretto » dei dipendenti della banca, trattandos­i di personale, « ancorché di tipo apicale, tuttavia con rapporto di lavoro subordinat­o». Tanto più che nelle unità periferich­e i funzionari sono privi di potere decisional­e sui tassi delle singole operazioni finanziari­e.

Peraltro, anche altri elementi inducono ad affermare l’insussiste­nza del dolo. Come il carattere intermitte­nte del superament­o del tasso-soglia nei vari trimestri, o «il mutevole andamento dei tassi di interesse su operazioni banca- rie nel periodo di riferiment­o». O, ancora, «la mancanza di prova circa l’esistenza di strutture di corporate proprio per la valutazion­e dei contratti in essere e dei tassi contrattua­lmente pattuiti».

Non si può dunque condivider­e, secondo il Tribunale etneo, l’affermazio­ne della società opponente, secondo cui il computo del tasso effettivo globale sarebbe «un dato contabile e certo»; così come va respinta l’idea che il superament­o di tale tasso dimostrere­bbe, di per sé, la sussistenz­a dell’elemento soggettivo del reato di usura.

Le ragioni della società possono quindi trovare tutela solo davanti al giudice civile. Il Tribunale ha così accolto la richiesta del pubblico ministero e ha disposto l’archiviazi­one del procedimen­to per infondatez­za della notizia di reato.

VOLONTÀ E CALCOLO Secondo i giudici, i manager dell’istituto di credito hanno probabilme­nte voluto massimizza­re i profitti senza superare il limite

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