Liberalizzazioni a metà: una storia infinita
Se tutte le buone intenzioni e le stime sulle liberalizzazioni si fossero magicamente tramutate in realtà forse l’Italia avrebbe già risolto a colpi di Pil tutti i problemi di correzioni, manovre e manovrine.
Il repertorio dei documenti di finanza pubblica è zeppo di proiezioni generose sugli effetti dei provvedimenti pro concorrenza, poi attuati solo parzialmente o, in alcuni casi, semplicemente evaporati.
Il governo Monti, nel preparare il decreto liberalizzazioni dell’inizio del 2012, ipotizzò una leva da 1,8% annuo di incremento del Pil. Più prudentemente, sollecitando il varo da parte del governo di quello che sarebbe stato invece il disegno di legge concorrenza, ancora fermo in Parlamento dopo 22 mesi, la Commissione europea parlò di un’incidenza sul Pil italiano dello 0,3% in 5 anni e dello 0,7% in 10 anni.
In entrambi i casi siamo dinanzi a provvedimenti poi ridimensionati rispetto alle ambizioni iniziali. E a stime sulla crescita non raggiungibili. Il decreto Monti-Catricalà fece, tra l’altro, un mezzo passo indietro sui taxi (sempre loro) e arretrò del tutto rispetto a valutazioni iniziali sulla separazione proprietaria della rete ferroviaria dalla holding Fs. La legge concorrenza si è tenuta alla larga dalla liberalizzazione completa dei farmaci di fascia C e ha perso per strada diverse misure, come la costituzione senza notaio per le srl semplificate.
Frammenti di storia della concorrenza in Italia, materia puntualmente complicata nel suo svolgimento dalle pressioni di parte (tassisti, farmacisti, professionisti non si sentano i soli chiamati in causa perché sono in buona compagnia) e da ricorrenti ipocrisie parlamentari che hanno perfino agevolato acrobatiche maggioranze trasversali su singoli emendamenti.
Ci sarebbe peraltro molto altro da raccontare prima di arrivare al governo Monti e alla legge concorrenza (si badi bene, la prima da quando nel 2009 è stato istituito un obbligo annuale). L’era delle liberalizzazioni si può simbolicamente far risalire alla prima gara per la telefonia mobile nel 1995, da lì sarebbe partito un processo virtuoso proseguito con le licenze Umts e completato nel 2007 con l’abolizione dei costi di ricarica. Ma come non dimenticare le infinite battaglie sulla rete fissa di Telecom Italia? La battuta di una Telecom «privatizzata ma non privata» dopo la creazione del “nocciolo duro” durante il primo governo Prodi si sarebbe perpetuata per anni, accompagnata dalle critiche per l’uscita dello Stato prima che si completasse una liberalizzazione adeguata a valere sul monopolio naturale della rete. Argomento attuale perfino oggi per una parte del Pd, vedi il cerchio renziano. Lo stesso Pd che si è storicamente espresso in ordine sparso su altri temi, come la separazione proprietaria della rete ferroviaria, uscita dai radar dopo che più di un anno fa, in vista della privatizzazione, il ministro Delrio non aveva escluso per Rfi un modello Terna.
L’energia elettrica è a sua volta un caso ambivalente di liberalizzazione. Il decreto Bersani sull’elettricità del 1999 e il decreto Letta sul gas del 2000 hanno spianato la strada a una deregulation ordinata. Salvo poi scoprire che le offerte non sono così allettanti, se in dieci anni poco più di un terzo dei clienti domestici è passato al mercato elettrico libero. Ed eccoci di nuovo al Ddl concorrenza che, per rompere definitivamente gli indugi, tra i dubbi degli stessi consumatori porterà al voto
LE PROPOSTE Dalla prima gara del 1994 per la telefonia mobile fino al decreto Bersani sull’elettricità e agli interventi del governo Monti
L’OSTACOLO Il problema vero è l’incompatibilità di infinite «lenzuolate» con i tempi e le caratteristiche del nostro Parlamento
del Senato l’eliminazione d’ufficio del mercato tutelato a partire dal 1° luglio 2018. L’ennesima norma dove il mercato da solo non ce la fa: basterà?
Il problema vero, suggeriscono gli esperti che da anni lavorano con frustrazione a liberalizzazioni azzoppate o rinviate come una condanna da mandare in prescrizione, è la incompatibilità di grandi lenzuolate con tempi e caratteristiche del nostro Parlamento. Con il paradosso di interventi normativi più lenti delle novità di mercati sottoposti a cambiamenti repentini come la digitalizzazione e la sharing economy.
Concordano sul punto sia il ministro dello Sviluppo economico che il presidente dell’Antitrust: piuttosto che avventurarsi in disegni di legge omnibus, che spaziano dalle tlc alle poste ai taxi, sarebbe più efficace confezionare provvedimenti per singoli settori o affidarsi allo strumento del decreto legge. Anche poco, ma bene e subito.