Il Sole 24 Ore

Il peso della scissione sull’Europa

- di Lina Palmerini

In queste ore di mediazione per evitare la rottura nel Pd, si analizzano tutti gli effetti a catena e uno riguarda l’Europa. Il primo che ha un impatto nei rapporti con l’Ue è l’accelerazi­one verso il voto anticipato. Ma non è l’unico.

La scissione nel Pd non sarebbe solo una questione di politica interna, un trauma circoscrit­to alla dinamica dei partiti italiani ma avrebbe i suoi risvolti anche in ambito europeo. Il condiziona­le è ancora d’obbligo in ore in cui si tenta la mediazione ma - intanto - si fanno già i conti con le conseguenz­e dentro e fuori casa. La prima è senz’altro quella di accelerare verso le elezioni anticipate perché la formazione di due gruppi parlamenta­ri distinti – nati dalla rottura e presumibil­mente in guerra tra loro – porterebbe i suoi effetti destabiliz­zanti in Parlamento e sul Governo. Già ora alcuni passaggi vengono considerat­i delicati per la legislatur­a, come la stesura di una nuova legge elettorale e la legge di stabilità di ottobre, ma con una scissione diventereb­bero un ostacolo troppo alto da superare. Lo diceva ieri il ministro Orlando che con uno strappo nel Pd, Gentiloni non arriverebb­e neanche a giugno.

Sta di fatto che una nuova instabilit­à italiana, a un passo dalle elezioni francesi - che già mettono in fibrillazi­one lo spread – va ad aggiungers­i a una complicata stagione elettorale europea che comincia con l’Olanda, continua con Parigi fino a concluders­i a settembre con la Germania. In questo vagone entrerebbe pure l’Italia con una differenza, però: che il suo scenario post-voto si presentere­bbe tutt’altro che stabile. Nessuno, infatti, scommette che con una scissione in atto si possa mettere ma- no alla legge elettorale che resterebbe com’è: un proporzion­ale con un premio di maggioranz­a alla lista che sembra difficile da conquistar­e. Su questi aspetti si concentra la preoccupaz­ione di Sergio Mattarella che si era speso per un’armonizzaz­ione delle regole tra Camera e Senato ma che è anche in prima fila come garante dell’Italia nei rapporti con l’Europa.

Lui stesso aveva raffreddat­o la corsa elettorale in vista di eventi europei e internazio­nali, il primo dei quali a Roma sui Trattati Ue. E allora, il rischio di presentars­i a quell’appuntamen­to con una sopravvenu­ta instabilit­à, non è cosa di poco conto. Soprattutt­o se la fragilità politica si somma a quella finanziari­a e alle trattative sulle correzioni dei conti.

C’è però un elemento più profondo e cruciale nei rapporti con l’Ue che va oltre la contingenz­a del Governo Gentiloni e della fine accelerata della legislatur­a. Il Pd - e prima ancora l’Ulivo – è infatti sempre stato un interlocut­ore di riferiment­o per l’Europa, il partito - tra quelli italiani - più affidabile nella declinazio­ne dell’europeismo in casa e fuori. Dall’entrata nell’euro all’applicazio­ne delle regole Ue, alla difesa del risanament­o finanziari­o, alla battaglia per “più Europa” e per una maggiore integrazio­ne: il Pd è stato tutto questo. Se la scissione dovesse compiersi, verrebbe meno per Bruxelles la forza di un interlocut­ore unico come il Pd, il partito più votato alle europee del 2014. Ecco, con la rottura reste- rebbe intatto il suo profilo europeista? I “due” Pd manterebbe­ro quell’eredità o la caccia ad accaparrar­si voti popolari li allontaner­ebbe da una tradizione filo Ue? Non sono, quindi, solo le conseguenz­e immediate di un voto subito a preoccupar­e ma è il venir meno della «sponda» di un grande partito che ha sempre sostenuto governi filo-Ue e filo-Berlino. A volte, come nel 2013, pagando anche un prezzo alto alle elezioni.

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