Il peso della scissione sull’Europa
In queste ore di mediazione per evitare la rottura nel Pd, si analizzano tutti gli effetti a catena e uno riguarda l’Europa. Il primo che ha un impatto nei rapporti con l’Ue è l’accelerazione verso il voto anticipato. Ma non è l’unico.
La scissione nel Pd non sarebbe solo una questione di politica interna, un trauma circoscritto alla dinamica dei partiti italiani ma avrebbe i suoi risvolti anche in ambito europeo. Il condizionale è ancora d’obbligo in ore in cui si tenta la mediazione ma - intanto - si fanno già i conti con le conseguenze dentro e fuori casa. La prima è senz’altro quella di accelerare verso le elezioni anticipate perché la formazione di due gruppi parlamentari distinti – nati dalla rottura e presumibilmente in guerra tra loro – porterebbe i suoi effetti destabilizzanti in Parlamento e sul Governo. Già ora alcuni passaggi vengono considerati delicati per la legislatura, come la stesura di una nuova legge elettorale e la legge di stabilità di ottobre, ma con una scissione diventerebbero un ostacolo troppo alto da superare. Lo diceva ieri il ministro Orlando che con uno strappo nel Pd, Gentiloni non arriverebbe neanche a giugno.
Sta di fatto che una nuova instabilità italiana, a un passo dalle elezioni francesi - che già mettono in fibrillazione lo spread – va ad aggiungersi a una complicata stagione elettorale europea che comincia con l’Olanda, continua con Parigi fino a concludersi a settembre con la Germania. In questo vagone entrerebbe pure l’Italia con una differenza, però: che il suo scenario post-voto si presenterebbe tutt’altro che stabile. Nessuno, infatti, scommette che con una scissione in atto si possa mettere ma- no alla legge elettorale che resterebbe com’è: un proporzionale con un premio di maggioranza alla lista che sembra difficile da conquistare. Su questi aspetti si concentra la preoccupazione di Sergio Mattarella che si era speso per un’armonizzazione delle regole tra Camera e Senato ma che è anche in prima fila come garante dell’Italia nei rapporti con l’Europa.
Lui stesso aveva raffreddato la corsa elettorale in vista di eventi europei e internazionali, il primo dei quali a Roma sui Trattati Ue. E allora, il rischio di presentarsi a quell’appuntamento con una sopravvenuta instabilità, non è cosa di poco conto. Soprattutto se la fragilità politica si somma a quella finanziaria e alle trattative sulle correzioni dei conti.
C’è però un elemento più profondo e cruciale nei rapporti con l’Ue che va oltre la contingenza del Governo Gentiloni e della fine accelerata della legislatura. Il Pd - e prima ancora l’Ulivo – è infatti sempre stato un interlocutore di riferimento per l’Europa, il partito - tra quelli italiani - più affidabile nella declinazione dell’europeismo in casa e fuori. Dall’entrata nell’euro all’applicazione delle regole Ue, alla difesa del risanamento finanziario, alla battaglia per “più Europa” e per una maggiore integrazione: il Pd è stato tutto questo. Se la scissione dovesse compiersi, verrebbe meno per Bruxelles la forza di un interlocutore unico come il Pd, il partito più votato alle europee del 2014. Ecco, con la rottura reste- rebbe intatto il suo profilo europeista? I “due” Pd manterebbero quell’eredità o la caccia ad accaparrarsi voti popolari li allontanerebbe da una tradizione filo Ue? Non sono, quindi, solo le conseguenze immediate di un voto subito a preoccupare ma è il venir meno della «sponda» di un grande partito che ha sempre sostenuto governi filo-Ue e filo-Berlino. A volte, come nel 2013, pagando anche un prezzo alto alle elezioni.