Un colpo al Pd «maggioritario» e all’unità dei riformisti
Non è certo una crisi salutare quella che si profila all’orizzonte, visto che è governata da un lato da un’incomprensibile partita a scacchi all’interno di quello che al momento rimane il perno del sistema politico, cioè il Pd, e dall’altro lato da un rincorrersi di motivazioni piuttosto contraddittorie per spiegare e giustificare quel che si va confusamente costruendo.
Il primo versante mescola un intrecciarsi di personalismi e di mancanza di prospettive. Bersani accusa Renzi di pensare alla sua corrente e non al paese, ma c’è da chiedergli se egli lo stia facendo, visto che non si vede come possa essere nell’interesse del paese distruggere il partito che, piaccia o meno, è al momento il perno del sistema e del governo. Anche banalmente riesce difficile capire come si possa tenere in piedi l’esecutivo guidato da Gentiloni dopo che il Pd fosse sprofondato nel gorgo di una scissione. Eppure quello è uno degli obiettivi sbandierati dai pre-scissionisti, che peraltro dovrebbero essere politici troppo esperti per poter credere che dopo quel trauma la coalizione di governo possa rimanere in piedi come niente fosse accaduto, che le opposizioni non cerchino di trarre profitto da quell’evento, che i membri stessi dell’esecutivo possano continuare serenamente nel proprio lavoro.
Naturalmente tutto avviene mascherandosi dietro attacchi pesanti al “bullismo” di Renzi, ma se leggiamo quel che dicono i suoi oppositori, soprattutto Michele Emiliano, non è che si riesca a vedere uno stile diverso. Questo senza tacere che Renzi non ha nelle sue corde quella capacità di costruire coinvolgimento che in questo momento lo aiuterebbe. Il suo appello a fare al Lingotto una specie di Leopolda 4.0 è troppo vago per attirare consensi oltre i confini di quelli che comunque già militano sotto le sue bandiere.
Qui entra in gioco il secondo corno del dilemma e cioè sulla base di quali motivazioni conviene o meno che il Pd continui nel ruolo che si è, per quanto in maniera contorta, assegnato sin dai tempi di Veltroni e Prodi: cioè costruire un partito perno del sistema (questo voleva dire “vocazione maggioritaria”, non essere il partito che raccoglie la maggioranza dei parlamentari) sulla base della confluenza in quell’ambito di tutte le tradizioni del riformismo italiano.
Forse il problema di cui non si è tenuto conto è stata la debolezza della tradizione riformista in un paese come il nostro dove il termine poteva essere usato solo se accompagnato da un opportuno aggettivo ideologico (di sinistra, cristiano, laico, ecc.). Non si capiva che con questo si attivava un sistema che avrebbe reso ardua la costruzione poi della “vocazione maggioritaria”, perché ci si metteva troppo nelle mani di chi avrebbe contestato il “tradimento” di uno o più di quegli aggettivi.
È esattamente quel che sta avvenendo. Nessuno che si ricordi del vecchio Deng Xiaoping che aveva spiegato ai suoi compagni post rivoluzione culturale che piuttosto che valutare i gatti in base al loro colore era meglio farlo in base alla loro capacità di prendere i topi. Ecco perché appare piuttosto curioso che oggi il dibattito si svolga non sull’esame di soluzioni concrete ai tanti spinosi problemi che il paese ha davanti, ma sulla discriminante a priori che si debbano trovare “soluzioni di sinistra” e quant’altro. Sino al punto che Pisapia si propone di creare una forza che riunisca quelli che vogliono essere a sinistra dell’attuale Pd per coalizzarsi poi con esso, ma a patto che escluda partiti del centro-destra. E se Pd più Campo progressista non raggiungono la maggioranza che farà? Sarà lieto di affidare il paese ad una coalizione sovranista o ai Cinque Stelle?
Probabilmente obietterebbe che in quel caso varrà il principio dell’emergenza, ma sappiamo bene che con quelle premesse si governa male (se si governa) e si cade al primo alito di vento.
Il paese profondo è poco interessato a vedere se i duellanti del Pd faranno un congresso, una conferenza programmatica, i gazebo o altre diavolerie prese dall’armamentario del politichese . Vorrebbe vedere quali prove sono capaci di offrire per convincerlo che sono loro i gatti che prenderanno i topi che ci infestano, magari alleandosi con tutti gli altri gatti utili per questo obiettivo, lasciando perdere le disquisizioni sul colore della loro pelliccia.