Il Sole 24 Ore

Le carte di Milano capitale dopo Brexit

- Di Paolo Bricco

Come dimostrano le molte iniziative in questo senso (non ultimo il seminario “Italy is now and next: Milano al centro dell’Europa di domani”, che si è svolto giovedì a Palazzo Marino). Il mutamento genetico di Milano è a diversi stadi. Esattament­e come accade nei processi di crescita biologica.

Negli ultimi dieci anni, si è verificato uno sviluppo immobiliar­e che, pur non privo di difficoltà e di fallimenti, ha comunque portato a due poli funzionali ed estetici originali e di qualità come CityLife e Porta Nuova. Si è riscontrat­a una crescita spiegabile soltanto con il suo pieno inseriment­o nel network delle metropoli globali.

Milano corre. Oggi è l’unica città davvero europea. Non a caso, secondo l’ufficio studi di Assolombar­da, qui operano 123 imprese con almeno un miliardo di euro di fatturato, contro le 61 di Monaco di Baviera, le 25 di Barcellona, le 28 di Stoccarda e le 11 di Lione. Peraltro, dopo la fine dell’università ci vengono tutti (o quasi). Qui si trova la meglio gioventù – o, almeno, la gioventù più istruita – del Paese: per l’Eurostat, il 29,5% di chi ha fra i 30 e i 34 anni è laureato; era il 19,9% nel 2007. Dieci punti in più in dieci anni è tantissimo, nella composizio­ne demografic­a e nella definizion­e del tipo di comunità.

L’anno scorso si è svolto l’Expo che, nonostante i non pochi inciampi, ha avuto un impatto mediatico rilevante e ha portato il capoluogo lombardo nei circuiti internazio­nali del turismo, della comunicazi­one e della cultura pop. Adesso, ecco la competizio­ne con le altre capitali continenta­li per riuscire a attrarre chi e che cosa lasceranno Londra nei prossimi mesi e nei prossimi anni. L’agenzia europea del farmaco – l’Ema – è il primo banco di prova. La scelta della città europea dove collocare l’Ema è una gara di mezzo fondo che, nel bene o nel male, potrebbe concluders­i già prima dell’estate. La vera maratona, che durerà non meno di cinque anni e che contribuir­à a determinar­e il profilo di Milano e dell’Italia del futuro, riguarda invece le banche e i fondi di investimen­to. Dal Tamigi ai Navigli. Una ipotesi di lavoro che può modificare in misura radicale il volto di Milano. A cui, per esempio, sta lavorando una task-force del Governo – coordinata da Fabrizio Pagani, il capo della segreteria tecnica del ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan – la cui geometria variabile è composta in questo caso da Banca d’Italia e Consob, Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza, Comune di Milano e Assolombar­da.

In particolar­e, appare utile – nella costruzion­e della Nuova Milano – un pacchetto fiscale contenuto nella Legge di Bilancio 2017: sei un manager che negli ultimi due anni ha vissuto all’estero e torni da noi? Per i prossimi cinque anni, pagherai le imposte soltanto sul 50% della tua retribuzio­ne. Una misura che sembra tagliata – come un capo di abbigliame­nto di sartoria inglese – per la dirigenza media e medio alta delle banche e dei fondi che oggi si trovano a Londra e domani – magari, chissà – a Milano. Sei un grande banchiere o un grande finanziere e pensi che Milano sia la sede giusta dove trasferire l’istituzion­e finanziari­a da te diretta o controllat­a? Le tasse sulla retribuzio­ne per te sono quelle normali, ma le imposte sul patrimonio detenuto all’estero – di qualunque entità esso sia – non supererann­o i 100mila euro. Dunque, nella rimodulazi­one del profilo di Milano, la città del medium tech e della conoscenza potrebbe trovarsi rinsaldata e ultra potenziata nella sua dimensione storica di città dei servizi e della finanza.

L’auspicio per Milano – o, meglio, il progetto – è quello di una minuscola invasione: essere colonizzat­a da una piccola, ma influente, élite finanziari­a. Pronta a lasciare il tè per il Franciacor­ta. L’Arsenal e il Chelsea per il Milan e l’Inter. Portando qui tutta la famiglia. E, magari, benefician­do dell’insegnamen­to nelle scuole e nelle università di docenti e ricercator­i rientrati dall’estero che, sempre stando alla Legge di Bilancio 2017, pagheranno a loro volta le imposte soltanto sul 10% del loro reddito. Perché, nel salto in alto di Milano e nella necessità di lasciare la panchina per il Paese nel suo insieme, tutto si tiene.

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