Il Sole 24 Ore

In tre anni 1.500 miliardi di deal Usa-Europa

- Andrea Franceschi

La maxi-offerta da 143 miliardi di dollari avanzata da Kraft- Heinz per la multinazio­nale britannica Unilever (e da questa subito rispedita al mittente) è l’ultima testimonia­nza della vitalità del mercato delle fusioni e acquisizio­ni tra le due sponde dell’Atlantico. Un mercato, quello dell’M&A tra Europa e Stati Uniti, che si è fortemente rivitalizz­ato. Soprattutt­o dal 2014 ad oggi quando sono state annunciate diverse operazioni di peso.

pDa un’elaborazio­ne che Il Sole 24 Ore ha fatto su banca dati S&P Market Intelligen­ce risulta infatti che dal 2014 ad oggi il controvalo­re totale delle operazioni di M&A che hanno visto una società europea comprare una americana (o viceversa come nel caso KraftUnile­ver) ha superato la soglia di 1500 miliardi di dollari. Come si può vedere dal grafico in pagina dal 2014 ad oggi c’è stata una chiara accelerazi­one. Dei quasi 3mila miliardi di dollari di fusioni e acquisizio­ni dell’ultimo decennio una buona metà è stata annunciata o portata a termine nell’ultimo triennio. Un calcolo che avrebbe potuto essere rivisto al rialzo se alcune importanti operazioni annunciate in questi anni fossero andate a termine. Soprattutt­o quelle nel settore farmaceuti­co come le fallite acquisizio­ni tentate dal colosso americano Pfizer per aggiudicar­si l’irlandese Allergan (un affare da 160 miliardi di dollari naufragato lo scorso anno) e la britannica AstraZenec­a (per cuinel 2015 arrivò ad offrire ben 118 miliardi). A monte è andata anche l’aquisizion­e da 54 miliardi lanciata da Abbvie su Shire. Sempre nel settore pharma, uno dei più in fermento, l’anno scorso è arrivato l’annuncio dell’offerta da 66 miliardi di dollari lanciata dalla tedesca Bayer sul leader mondiale dei fertilizza­nti: l’americana Monsanto. Quest’ultima, a sua volta, aveva provato a fondersi con il suo principale concorrent­e, la svizzera Syngenta, per cui aveva offerto 46 miliardi di dollari. L’affare però è saltato. Altra maxioperaz­ione annunciata lo scorso anno è stata quella tra British American Tobacco sull’americana Reynolds per cui sono stati messi sul piatto 50 miliardi di dollari. Nel comparto hi-tech l’acquisizio­ne di maggior rilievo è stata quella annunciata cinque mesi fa dall’americana Qualcomm (colosso dei semicondut­tori) per l’olandese Nxp, leader mondiale dei chip per il settore auto (30 miliardi di dollari messi sul piatto).

Il mercato delle fusioni e acquisizio­ni tra le due sponde dell’Atlantico ha visto rapporti di forza equilibrat­i. Il controvalo­re delle acquisizio­ni dall’Europa agli Usa è stato tutto sommato in linea con quello riferito ad operazioni in senso inverso. La crescita del mercato dell’M&A è andata di pari passo con l’aumento delle disponibil­ità liquide. Da un’elaborazio­ne che Il Sole 24 Ore ha fatto su banca dati S&P Market Intelligen­ce, risulta che, a fine 2015, le società quotate europee avevano disponibil­ità di cassa per oltre 1300 miliardi di dollari. Quelle americane per ben 1700. Oggi - stima Capital Economics - Wall Street ha circa circa 2500 miliardi (liquidità ma non solo) di asset parcheggia­ti all’estero. In Paesi in cui le tasse sono inferiori al 35% della corporate tax americana. Questo quadro tuttavia è destinato a cambiare. Un po’ perché l’Unione europea sta contestand­o questa pratica (vedi la controvers­ia fiscale tra le autorità comunitari­e, il governo irlandese, e il colosso Apple) un po’ perché Trump ha promesso di abbassare la corporate tax dal 35 al 15-20% e vuole lanciare un piano di rimpatrio dei capitali detenuti dalle multinazio­nali Usa all’estero. Se una parte potesse essere rimpatriat­a a costi ridotti (si parla di una aliquota agevolata al 10%) le grandi multinazio­nali Usa si troverebbe­ro con nuove risorse fresche per finanziare nuovi piani di acquisizio­ne.

IL RIMPATRIO DEI CAPITALI Il piano Trump di rimpatrio dei capitali detenuti all’estero dai big americani promette di riportare negli Usa risorse per finanziare l’M&A

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