In tre anni 1.500 miliardi di deal Usa-Europa
La maxi-offerta da 143 miliardi di dollari avanzata da Kraft- Heinz per la multinazionale britannica Unilever (e da questa subito rispedita al mittente) è l’ultima testimonianza della vitalità del mercato delle fusioni e acquisizioni tra le due sponde dell’Atlantico. Un mercato, quello dell’M&A tra Europa e Stati Uniti, che si è fortemente rivitalizzato. Soprattutto dal 2014 ad oggi quando sono state annunciate diverse operazioni di peso.
pDa un’elaborazione che Il Sole 24 Ore ha fatto su banca dati S&P Market Intelligence risulta infatti che dal 2014 ad oggi il controvalore totale delle operazioni di M&A che hanno visto una società europea comprare una americana (o viceversa come nel caso KraftUnilever) ha superato la soglia di 1500 miliardi di dollari. Come si può vedere dal grafico in pagina dal 2014 ad oggi c’è stata una chiara accelerazione. Dei quasi 3mila miliardi di dollari di fusioni e acquisizioni dell’ultimo decennio una buona metà è stata annunciata o portata a termine nell’ultimo triennio. Un calcolo che avrebbe potuto essere rivisto al rialzo se alcune importanti operazioni annunciate in questi anni fossero andate a termine. Soprattutto quelle nel settore farmaceutico come le fallite acquisizioni tentate dal colosso americano Pfizer per aggiudicarsi l’irlandese Allergan (un affare da 160 miliardi di dollari naufragato lo scorso anno) e la britannica AstraZeneca (per cuinel 2015 arrivò ad offrire ben 118 miliardi). A monte è andata anche l’aquisizione da 54 miliardi lanciata da Abbvie su Shire. Sempre nel settore pharma, uno dei più in fermento, l’anno scorso è arrivato l’annuncio dell’offerta da 66 miliardi di dollari lanciata dalla tedesca Bayer sul leader mondiale dei fertilizzanti: l’americana Monsanto. Quest’ultima, a sua volta, aveva provato a fondersi con il suo principale concorrente, la svizzera Syngenta, per cui aveva offerto 46 miliardi di dollari. L’affare però è saltato. Altra maxioperazione annunciata lo scorso anno è stata quella tra British American Tobacco sull’americana Reynolds per cui sono stati messi sul piatto 50 miliardi di dollari. Nel comparto hi-tech l’acquisizione di maggior rilievo è stata quella annunciata cinque mesi fa dall’americana Qualcomm (colosso dei semiconduttori) per l’olandese Nxp, leader mondiale dei chip per il settore auto (30 miliardi di dollari messi sul piatto).
Il mercato delle fusioni e acquisizioni tra le due sponde dell’Atlantico ha visto rapporti di forza equilibrati. Il controvalore delle acquisizioni dall’Europa agli Usa è stato tutto sommato in linea con quello riferito ad operazioni in senso inverso. La crescita del mercato dell’M&A è andata di pari passo con l’aumento delle disponibilità liquide. Da un’elaborazione che Il Sole 24 Ore ha fatto su banca dati S&P Market Intelligence, risulta che, a fine 2015, le società quotate europee avevano disponibilità di cassa per oltre 1300 miliardi di dollari. Quelle americane per ben 1700. Oggi - stima Capital Economics - Wall Street ha circa circa 2500 miliardi (liquidità ma non solo) di asset parcheggiati all’estero. In Paesi in cui le tasse sono inferiori al 35% della corporate tax americana. Questo quadro tuttavia è destinato a cambiare. Un po’ perché l’Unione europea sta contestando questa pratica (vedi la controversia fiscale tra le autorità comunitarie, il governo irlandese, e il colosso Apple) un po’ perché Trump ha promesso di abbassare la corporate tax dal 35 al 15-20% e vuole lanciare un piano di rimpatrio dei capitali detenuti dalle multinazionali Usa all’estero. Se una parte potesse essere rimpatriata a costi ridotti (si parla di una aliquota agevolata al 10%) le grandi multinazionali Usa si troverebbero con nuove risorse fresche per finanziare nuovi piani di acquisizione.
IL RIMPATRIO DEI CAPITALI Il piano Trump di rimpatrio dei capitali detenuti all’estero dai big americani promette di riportare negli Usa risorse per finanziare l’M&A