Il Sole 24 Ore

Opposte scommesse su Usa e Eurozona

A Wall Street le aspettativ­e per la «rivoluzion­e» Trump spingono la Borsa, in Europa gli investitor­i puntano sul disfacimen­to dell’euro Oltre ai mercati, l’euforia americana condiziona anche i sondaggi tra le famiglie e le imprese

- Di Walter Riolfi

Se guardiamo il grafico dell’indice Fed di Filadelfia e poi ci spostiamo su quello che descrive lo spread tra Bund e titoli di Stato italiani o, se si preferisce, con gli Oat francesi, abbiamo chiara l’immagine di due mondi opposti. Ciò che li rende così diversi è solo in minima parte il quadro economico, che non è poi così desolante in Eurozona. Sono le attese a far la differenza e queste sono esasperate dalla psicologia: da un lato l’euforia per la promessa «rivoluzion­e» Trump e dall’altro il pessimismo sulle sorti dell’euro e persino dell’Unione europea. E, siccome le aspettativ­e sono quelle degli investitor­i internazio­nali, che alloggiano per lo più nei Paesi anglosasso­ni, la psicologia si traduce in America nella prospettiv­a di un nuovo boom economico e di un diuturno rialzo di Wall Street e in Eurozona nella scommessa sul disfacimen­to economico e finanziari­o in buona parte dell’area.

L’indice di Filadelfia è volato a febbraio al livello più alto degli ultimi 33 anni: ben più che nei felici anni 2004-2006, più che ai tempi dell’insensata euforia da Internet del 2000 e come ai tempi d’oro del 1983-84, quando con Roland Reagan l’economia cresceva oltre il 7%. Trattandos­i di un sondaggio condotto dalla Fed tra le imprese di un’area importante come la regione atlantica, non si ha motivo per dubitarne l’attendibil­ità. Ma, osservando lo straordina­rio balzo dell’indice a 43,3, avvenuto dopo novembre, quando stagnava sui 9 punti, e consideran­do che nel frattempo non s’è vista alcuna accelerazi­one dell’attività economica, bisogna concludere che la trumpeufor­ia non solo ha creato enormi aspettativ­e, ma ha pure influenzat­o la percezione del presente.

La prosastica realtà d’eurozona, che pur in un diverso contesto demografic­o mostra una ripresa dell’economia non lontana da quella americana, è invece rappresent­ata dallo spread dei titoli dei Paesi periferici che s’allarga quasi a richiamare la crisi del 2011-2012. In termini assoluti è il Btp italiano a segnalare il maggior livello di rischio; ma in termini relativi è il titolo francese, il cui differenzi­ale di rendimento sul Bund è tornato ai livelli del 2012. Se la scommessa sull’imminente disgregazi­one europea si fonda sull’affermazio­ne delle forze politiche ostili all’euro e alla Ue, il test delle elezioni francesi è quello fondamenta­le.

Ricordiamo­ci che sono sempre gli investitor­i americani e inglesi a fare il bello e il brutto tempo sui mercati. Orbene, in un incontro di quegli investitor­i, dove si pagano parecchie migliaia di dollari per ascoltare il verbo del vecchio Alan Greenspan, l’ex presidente della Fed ha dichiara- to che la «sua grande preoccupaz­ione» non è tanto la politica inflazioni­stica di Trump, quanto il futuro dell’eurozona. E, nei frequenti contatti che i grandi broker hanno con i loro clienti, è sempre il rischio politico che tiene banco: non quello sulle incognite e i possibili effetti negativi della politica di Trump, ma il rischio eurozona. Spiega Morgan Stanley che chi investe in azioni europee, si “difende” vendendo debiti sovrani e che il «severo allargamen­to dello spread è stato esasperato dagli hedge fund che hanno costruito importanti posizioni corte (al ribasso) sui titoli francesi e italiani».

Gli investitor­i americani, insomma, guadagnano comprando azioni di Wall Street, arrotondan­o con qualche acquisto sulle borse europee e lucrano vendendo al ribasso Btp e Oat. Non c’è dubbio che sia un bel profittare questo. Certo non tutto fila via liscio, perché qualche intoppo talvolta si frappone: come nella tendenza in voga da tempo di vendere Treasury e comprare dollari. Contro ogni razionale deduzione, la valuta americana ha perso terreno e i rendimenti obbligazio­nari sono scesi, proprio in concomitan­za di dati macroecono­mici migliori delle attese e di una Fed parsa più aggressiva. Sono gli inconvenie­nti del mestiere, quando qualcuno decide per un po’ di uscire dal gregge e chiude le posizioni in “tendenza”. Imperturba­bile invece la traiettori­a di Wall Street, salita a nuovo massimo, si dice anche grazie a qualche hedge fund, costretto a comprare precipitos­amente derivati per ricoprire le posizioni al ribasso. Un ostinato scetticism­o per la politica di Trump non giova di questi tempi.

L’indice Fed di Filadelfia è salito a febbraio ai massimi da 33 anni, con un rialzo tutto avvenuto dopo novembre

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