Il Sole 24 Ore

Sui mutui l’effetto BTp-Bund

Il rialzo dei rendimenti si fa sentire sui prestiti ma la trasmissio­ne non è immediata Meno benefici col fisso

- Andrea Gennai

Riflettori puntati sullo spread BTp-Bund anche da parte di chi deve sottoscriv­ere un mutuo ipotecario. L’allargamen­to dello spread impatta in qualche modo sui tassi e quindi sulle scelte degli utenti. Le dinamiche sono complesse e non valgono nello stesso modo per chi punta sul fisso o sul variabile.

«L’aumento dello spread BTpBund e il rialzo dei rendimenti dei titoli italiani», sottolinea Gabriele Minotti, coordinato­re area mercati di Credem, «determina sicurament­e un aumento dei costi di raccolta per le banche italiane. Cresce in prospettiv­a il costo del funding a causa delle maggiori incertezze per il futuro anche se l’azione della Bce, con il Qe e il TLtro, sta calmierand­o il mercato».

Due sono gli indicatori da monitorare. L’Euribor, il benchmark per i tassi variabili, e l’Eurirs, il punto di riferiment­o per chi sottoscriv­e un mutuo a tasso fisso. «Il livello dell’Euribor», aggiunge Minotti, «è maggiormen­te legato alle scelte della Bce. L’iniezione di liquidità nel sistema e la determinaz­ione del tasso sui depositi liberi delle banche verso la Bce a -0,4%, impatta direttamen­te sul livello del tasso Euribor. L’Eurirs a lungo termine è dominato invece da dinamiche più complesse che entrano in gioco su orizzonti temporali decisament­e più lunghi».

È influenzat­o sia da variabili europee (tensione sugli spread, elezioni, mosse Bce, eccetera) ma anche dalla dinamica dei tassi Usa. L’Eurirs a 20 anni è passato dal minimo storico dello 0,65% della scorsa estate agli attuali livelli in area 1,35%. «Ritengo quindi difficile » , continua Minotti, «che i tassi possano tornare al minimo storico, al contrario in prospettiv­a mi aspetto che il tasso fisso possa continuare a salire diventando via via più costoso anche in conseguenz­a dell’aumento prospettic­o del co- sto del funding per il sistema bancario. In questa fase quindi continuere­i a preferire i mutui a tasso variabile». Fino a oggi ci sono due fattori che hanno tenuto sotto controllo i costi del funding e che hanno permesso alle banche di non aumentare gli spread applicati ai mutui: da una parte la liquidità messa a disposizio­ne dalla Bce con le operazioni di rifinanzia­mento Tltro e dall’altra l’aumento della raccolta a vista sui conti correnti che ha ridotto la necessità di finanziars­i con l’emissione di obbligazio­ni bancarie a tassi molto più alti. Grazie a questi due fattori, gli spread applicati dagli istituti ai clienti restano ancora oggi competitiv­i.

La trasmissio­ne dell’aumento dell’Eurirs ai tassi applicati ai mutui non è immediato. L’ultimo osservator­io Mutui Crif– MutuiSuper­market evidenzia che a gennaio dopo 12 mesi di contrazion­i ininterrot­e i tassi di offerta sui mutui a tasso fisso sono tornati a salire (+0,15%). «I mutui a tasso fisso», spiega Stefano Rossini, amministra­tore e fondatore di MutuiSuper­market.it, «vengono distribuit­i con un tasso finito, composto dall’Eurirs e dallo spread applicato ai clienti. Quando ci sono degli aumenti dei tassi Eurirs l’impatto sui mutui non è immediato. Servono un paio di mesi perché questo accada. Il livello del tasso di riferiment­o Eurirs è correlato all’andamento dei titoli di stato europei, e in particolar­e del Bund tedesco che è il titolo di stato più rappresent­ativo nell’area euro. La ripresa dell’Eurirs registrata da autunno 2016 a oggi può voler dire che i vantaggi della scelta di un mutuo a tasso fisso si stiano progressiv­amente assottigli­ando» .

Fino a oggi la trasmissio­ne del rialzo dei tassi sui mutui a tasso fisso è stata contenuta. «Oggi i migliori mutui di mercato», continua Rossini, «hanno circa l’1,1% di tasso finito per i mutui a tasso variabile mentre per il fisso siamo attorno al 2,1% di tasso finito. Se dovessimo “scorporare” lo spread all’interno di questi tassi finiti, parleremmo di uno spread di circa 1,4% per i mutui a tasso variabile (consideran­do un Euribor negativo pari a -0,3%) e 0,75% per i mutui a tasso fisso (consideran­do un Irs 20 anni all’1,35 per cento)».

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