Il Sole 24 Ore

Protezioni­smo, l’errore di Trump

- Fabrizio Galimberti

Le improvvide ventate di protezioni­smo che emanano dall’America di Trump fanno leva, in ultima analisi, sulle differenze nel costo del lavoro fra i diversi Paesi. La globalizza­zione ha permesso alle imprese di spostare le produzioni nei Paesi a basso costo, in ciò aiutate anche dai prodigi della telematica.

Vale la pena, allora, di gettare uno sguardo sui livelli più recenti del costo del lavoro orario nel settore manifattur­iero dei diversi Paesi. Queste statistich­e vengono ora pubblicate dal Conference Board. Il grafico mostra i dati, in dollari Usa, al 2015. Come si vede, le convenienz­e delle delocalizz­azioni continuano a esistere. Forse, sono minori di prima: per esempio, nel 2002 il costo orario in Cina era solo il 2,2% del costo negli Usa, e ora è pari all’11,3 per cento. Ma la differenza è tale da non scalfire le convenienz­e.

Tanto più che l’India, con un costo del lavoro che è molto al di sotto di quello cinese, avanza con il suo nuovo slogan: “Make in India”. E anche l’Europa ha i suoi “cinesi”: basti vedere nel grafico i costi del lavoro in Polonia e Turchia, mentre il confronto fra Usa, Messico e Brasile è impietoso.

Basteranno le punzecchia­ture protezioni­stiche di Trump a compensare i potenti stimoli che vengono da queste differenze ancora abissali? Qualcuno ha detto che opporsi alla globalizza­zione è come opporsi alla forza di gravità. Ed è vero. Ci sarà — c’è già stato, e non solo in America — qualche caso di “rilocalizz­azione”, quando le imprese delocalizz­ate vengono rimpatriat­e per varie ragioni. E ci sarà qualche rallentame­nto nella diaspora delle delocalizz­azioni. Ma niente potrà fermare la redistribu­zione internazio­nale del lavoro.

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