La Cassazione conferma le condanne Cit
Sentenza definitiva e raffica di bocciature per le richieste di revisione delle pene per tutti i condannati
Chiuso anche il terzo grado di giudizio per i responsabili del crack della Cit, Compagnia italiana turismo. Una bancarotta fraudolenta stimata in 1,2 miliardi di euro ( infra ed extragruppo) maturata nell’alveo di una delle prime operazioni di privatizzazione concluse alla fine degli anni 90. A mettere la parola finale alla lunga vicenda processuale è stata la quinta sezione penale della Corte di Cassazione che si è pro- nunciata bocciando uno dopo l’altro i ricorsi presentati dagli imputati e ha confermato la sentenza della quinta Sezione penale della Corte d’Appello di Milano.
Una sentenza che ha riconosciuto colpevoli i principali responsabili della bancarotta riformando in modo sostanziale la sentenza di primo grado. In prima istanza la terza sezione penale del Tribunale presieduta da Piero Gamacchio aveva sopravanzato le richieste dell’accusa (pm Riccardo Targetti) condannando l’ex patron di Cit, Gianvittorio Gandolfi a 18 anni di carcere (uno in più rispetto a Calisto Tanzi, la pena più grave mai irrogata per un caso di bancarotta), Arcangelo Taddeo a 17 anni e sei mesi, Giuseppe Vimercati a 12 anni e 6 mesi, Domenico Greco a 13 anni, Girolamo Bernareggi a 13 anni, e Carlo Giulio Fubiani a 13 anni. In appello le pene, a fronte di una motivazione (se possibile) ancora più severa, erano state sensibilmente ridimensionate: 7 anni e 4 mesi a Gandolfi, 7 anni a Taddeo, 5 anni a Vimercati, 6 anni a Greco, 6 anni a Bernareggi, 6 anni a Fubiani. Una generale diminuzione degli aggravi che ha comportato di fatto la devitalizzazione delle sanzioni (con eccezione di Gandolfi, tutt’ora agli arresti domiciliari). Il caso Cit è un caso di scuola di come i processi di privatizzazione, quando gestiti in modo dissennato, rappresentino irrinunciabili opportunità per la finanza e l’imprenditoria d’assalto con finalità predatorie.
La Cit, fondata nel 1927 da Benito Mussolini, era attiva nel settore turistico; era stata acquisita dalle Ferrovie dello Stato nel luglio del 1998 da Gandolfi e dai suoi sodali grazie ai finanziamenti erogati dal Mediocredito Lombardo, allora presiedu- to da Vimercati, e nel giro di sei anni non solo venne spolpata sino all’osso, ma pure strumentalmente utilizzata per drenare e distrarre risorse pubbliche attraverso i contratti di programma affluiti dallo Stato e ben presto defluiti dalle casse del gruppo. La prima opera di distrazione fu la cessione dell’unica società del gruppo in grado di produrre utili: la consociata inglese Cit Holydays Ltd, venduta quasi subito (nell’aprile del 2001) per ripianare il debito con il Mediocredito. Di qui si marciò a tappe forzate, di distrazione in distrazione, sino al 2006 anno nel quale lo stato di dissesto si manifestò in tutta la sua gravità. La società venne posta in amministrazione straordinaria e commissariata: il primo commissario fu Ignazio Abrignani, segretario politico di Claudio Scajola, il secondo, Antonio Nuzzo (nominato dal ministro Pierluigi Bersani) procedette alla cessione degli asset residuali del gruppo al gruppo Soglia, fallito anch’esso a pochi giorni di distanza dal pefezionamento dell’acquisizione.