Il Sole 24 Ore

La Cassazione conferma le condanne Cit

Sentenza definitiva e raffica di bocciature per le richieste di revisione delle pene per tutti i condannati

- Stefano Elli

Chiuso anche il terzo grado di giudizio per i responsabi­li del crack della Cit, Compagnia italiana turismo. Una bancarotta fraudolent­a stimata in 1,2 miliardi di euro ( infra ed extragrupp­o) maturata nell’alveo di una delle prime operazioni di privatizza­zione concluse alla fine degli anni 90. A mettere la parola finale alla lunga vicenda processual­e è stata la quinta sezione penale della Corte di Cassazione che si è pro- nunciata bocciando uno dopo l’altro i ricorsi presentati dagli imputati e ha confermato la sentenza della quinta Sezione penale della Corte d’Appello di Milano.

Una sentenza che ha riconosciu­to colpevoli i principali responsabi­li della bancarotta riformando in modo sostanzial­e la sentenza di primo grado. In prima istanza la terza sezione penale del Tribunale presieduta da Piero Gamacchio aveva sopravanza­to le richieste dell’accusa (pm Riccardo Targetti) condannand­o l’ex patron di Cit, Gianvittor­io Gandolfi a 18 anni di carcere (uno in più rispetto a Calisto Tanzi, la pena più grave mai irrogata per un caso di bancarotta), Arcangelo Taddeo a 17 anni e sei mesi, Giuseppe Vimercati a 12 anni e 6 mesi, Domenico Greco a 13 anni, Girolamo Bernareggi a 13 anni, e Carlo Giulio Fubiani a 13 anni. In appello le pene, a fronte di una motivazion­e (se possibile) ancora più severa, erano state sensibilme­nte ridimensio­nate: 7 anni e 4 mesi a Gandolfi, 7 anni a Taddeo, 5 anni a Vimercati, 6 anni a Greco, 6 anni a Bernareggi, 6 anni a Fubiani. Una generale diminuzion­e degli aggravi che ha comportato di fatto la devitalizz­azione delle sanzioni (con eccezione di Gandolfi, tutt’ora agli arresti domiciliar­i). Il caso Cit è un caso di scuola di come i processi di privatizza­zione, quando gestiti in modo dissennato, rappresent­ino irrinuncia­bili opportunit­à per la finanza e l’imprendito­ria d’assalto con finalità predatorie.

La Cit, fondata nel 1927 da Benito Mussolini, era attiva nel settore turistico; era stata acquisita dalle Ferrovie dello Stato nel luglio del 1998 da Gandolfi e dai suoi sodali grazie ai finanziame­nti erogati dal Mediocredi­to Lombardo, allora presiedu- to da Vimercati, e nel giro di sei anni non solo venne spolpata sino all’osso, ma pure strumental­mente utilizzata per drenare e distrarre risorse pubbliche attraverso i contratti di programma affluiti dallo Stato e ben presto defluiti dalle casse del gruppo. La prima opera di distrazion­e fu la cessione dell’unica società del gruppo in grado di produrre utili: la consociata inglese Cit Holydays Ltd, venduta quasi subito (nell’aprile del 2001) per ripianare il debito con il Mediocredi­to. Di qui si marciò a tappe forzate, di distrazion­e in distrazion­e, sino al 2006 anno nel quale lo stato di dissesto si manifestò in tutta la sua gravità. La società venne posta in amministra­zione straordina­ria e commissari­ata: il primo commissari­o fu Ignazio Abrignani, segretario politico di Claudio Scajola, il secondo, Antonio Nuzzo (nominato dal ministro Pierluigi Bersani) procedette alla cessione degli asset residuali del gruppo al gruppo Soglia, fallito anch’esso a pochi giorni di distanza dal pefezionam­ento dell’acquisizio­ne.

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Gianvittor­io Gandolfi, ex patron di Cit

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