IL TEMPO CHE L’ITALIA NON PUÒ SPRECARE
Le scelte da fare bene in casa e la partita da giocare in Europa
L’uso del tempo deve essere proficuo, non può essere sprecato, questo non altro è il valore della stabilità politica. L’Italia non ha interesse a infilarsi nella fibrillazione europea dei mercati dentro le scadenze elettorali di Olanda, Francia e Germania, è meglio che si parli del debito francese e della Le Pen, piuttosto che la scena sia occupata dal nostro macigno di un debito pubblico al 133% del Pil. L’Italia, però, ha ancora meno interesse al tirare a campare determinato dalle contorsioni politiche di un dibattito surreale all’interno del partito di maggioranza e dal clima di sospensione del Paese che ne scaturisce. Questo è il punto.
L’Europa chiede che non ci sia una crisi di governo prima della legge di bilancio e che Gentiloni sia più visibile. A noi interessa che l’esecutivo Gentiloni dimostri di governare e faccia le cose perché se è vero che l’Italia è il Paese che cresce meno in Europa e produce ancora meno di quanto producesse prima della grande crisi, il record del surplus commerciale (51,6 miliardi) e delle vendite all’estero (417 miliardi) e i segnali diffusi di risveglio che vengono dalla manifattura e dal mondo dei servizi più internazionalizzato dimostrano che ora più che mai la parte sana del Paese ha bisogno che non si fermi il processo esecutivo di riforme, pubblica amministrazione e giustizia, che si faccia finalmente qualcosa di decente in tema di concorrenza e che si riapra per davvero la stagione della ripresa degli investimenti in infrastrutture/edilizia (forse basterebbe fare oggi la legge Goria del 1987 per i mutui casa ai giovani). A quel punto, vedrete che quello 0,9% di crescita di Prodotto interno lordo certamente salirebbe e produrrebbe i suoi effetti benefici sul rapporto per noi in assoluto più importante e, cioè, quello debito/Pil.
Il Paese ha disperato bisogno di governo per fare queste cose che consentano di curare la sua malattia strutturale, il divario di produttività, restituire fiducia e ridare slancio alle sue energie vitali a partire da un capitale umano unico che è quello dei suoi giovani. Con tutto il rispetto per le ragioni “nobili” della politica, non vediamo una sola ragione al mondo se non quella della irresponsabilità che possa giustificare lacerazioni e contorsionismi partitico-correntizi che non portino a uno sbocco chiaro: si governi ventre a terra e si moltiplichino gli sforzi o si vada al voto. La sospensione non serve al partito egemone di questo governo, ma soprattutto fa malissimo al Paese.
Se ci saranno le condizioni perché prevalga la prima ipotesi, quella del buon senso, non si perda tempo in dibattiti irritanti quanto vacui su un banalissimo 0,2% di correzione su un bilancio di 800 e passa miliardi di spesa pubblica, si metta mano con serietà alle privatizzazioni e ai conti pubblici perché la nuova legge di stabilità ci aspetta al varco con il suo pesante carico di clausole di salvaguardia da disinnescare. Soprattutto perché solo scelte effettive di questo tipo, non proclami, ci legittimerebbero in Europa per sfruttare il clima politico favorevole al cambiamento, determinato dalla grande paura populista, ottenere uno scambio virtuoso tra riforme e investimenti e, cosa ancora più importante, guidare con la forza di un Paese fondatore legittimato il cammino verso un’Europa federale solidale che ponga al centro il lavoro, la ricerca e lo sviluppo, e si appalesi finalmente come tale su terreni decisivi quali sono difesa, immigrazione e politica estera.
Per quanto ambiziosa, lunga e piena di insidie, questa è la strada percorribile, rotture o scorciatoie in un mondo dove tutto è cambiato (Brexit, Trump, “ritorno” di Putin, e molto altro) potrebbero avere effetti rovinosi per tutti e impedirebbero di cogliere segnali politici importanti che vengono dall’Europarlamento, penso alle risoluzioni contro l o strabismo della vigilanza bancaria europea e a un indirizzo più solidale, e, in modo diverso, dall’ala più dura della roccaforte tedesca.
Chi ha incontrato di recente il giovane governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, giura di averlo sentito ripetere che sono in molti i tedeschi pronti a sostenere che con la politica dei bassi tassi viene colpita la ricchezza privata ma che lui non la pensa così, che questa è una rappresentazione populista, è vero che i tedeschi soffrono per i bassi tassi di interesse ma lui non discute che la politica monetaria, in questo momento, debba essere espansiva, ritiene che sia la scelta giusta e dà volentieri atto a Mario Draghi di avere imboccato questa strada. Il ragionamento di Weidmann è più o meno il seguente: per noi oggi contano più i posti di lavoro che il risparmio dei ricchi, chi risparmia ha diversi ruoli, è un lavoratore dipendente, è un cittadino, quindi per lui la politica espansiva contribuisce a dare la sicurezza del posto di lavoro, probabilmente pagherà meno tasse e avrà il vantaggio di potere decidere di investire una parte del risparmio per comprare una casa. Se non si è ancora capito il falco della Bundesbank e primo azionista della Bce, sempre all’opposizione, da un po’ di tempo in qua fa intendere che la strada imboccata da Draghi è quella giusta.
Mi viene da dire, meglio tardi che mai per un economista che non ha mai creduto in un vero rischio di deflazione e che si è sempre opposto alla politica monetaria della Banca centrale europea, ma che si vede ora costretto a constatare che l’Europa cresce più degli Stati Uniti, che il mostro deflazione è stato per lo meno domato, che il tasso di disoccupazione tedesco è poco sotto il 5%, i giovani sono appagati perché trovano il lavoro che desiderano, e potrebbe aggiungere, ma non lo farà, di avere un surplus commerciale record senza che nessuno a Bruxelles alzi la paletta, apra una procedura d’infrazione, dica di “restituire” qualcosa. Poi, però, farà capire che è sempre Weidmann, anche quando dice cose giuste: non smetterà, cioè, di ripetere che non ha senso che chi ha un debito pubblico più elevato paghi come chi ne ha molto meno per gli acquisti della Bce e ripeterà le critiche al Quantitative Easing (Q E), ma queste critiche sono fuori dalla storia e dal nuovo gioco politico europeo che ha gli occhi puntati sulle elezioni in Francia, dove l’onda lunga della Le Pen è un dato reale, e in Germania, dove Alternativa per la Germania viaggia oltre il 10% e dove la candidatura europeista di Schulz si presenta ostica e competitiva per la cancelleria Merkel.
Questi sono i quadri d’insieme europeo e italiano. L’interesse del Paese in casa è chiaro a tutti, impone azioni non galleggiamento, coesione e fare, non proclami, divisioni e dibattiti surreali. Il QE non finirà domani, ma non durerà per sempre, i tassi risaliranno e finanziare il debito costerà di più. Il fattore tempo non è indifferente, mettersi a posto prima è necessario. Bisogna consolidare i risultati raggiunti, il buono ma insufficiente realizzato fin qui non ha debellato il virus del disagio sociale e non può quindi fermare l’onda lunga della protesta e di chi se ne fa a torto o a ragione portabandiera politico. Fare una legge elettorale omogenea tra i due rami del Parlamento è utile, ma le emergenze vere del Paese sono altre e le abbiamo elencate nei dettagli. Abbiamo calcolato qualche giorno fa, con Rating 24, che agire con serietà su pubblica amministrazione, concorrenza, giustizia, cantieri e cuneo fiscale vuol dire “costruire” con le proprie mani le basi per un rafforzamento della crescita da qui al 2019 dell’ordine di due punti di pil e, in un momento in cui l’incertezza politica torna a fare fibrillare i mercati, sottrarsi al ciclone infernale elettorale è di certo una scelta saggia per un Paese che deve collocare ogni anno titoli di Stato ben oltre 400 miliardi, ma non a prescindere e in ogni caso.
C’è bisogno di una maturità e di una consapevolezza dell’interesse generale che si traducano in una scelta politica condivisa e in azioni nettamente più incisive di quelle fatte fino ad ora per recuperare produttività e prospettiva di lungo termine. Il governo Gentiloni è espressione del Pd di Renzi e ne riproduce pressoché in fotocopia la compagine governativa, sarebbe grave se non si cogliesse l’opportunità politica che questo partito ha di continuare a governare, e soprat- tutto di farlo bene, in un momento delicato come è quello attuale. Siamo tra i più bravi nella gestione del debito pubblico sui mercati, ora dobbiamo dimostrare di essere capaci anche di farlo scendere quel debito e, soprattutto, di farlo scendere rispetto al pil aumentando la crescita. A quel punto, in Europa, si tornerebbe a parlare di messa in comune fino al 60% dei debiti pubblici nazionali e di “Redemption fund” a lunghissima scadenza per il resto e, forse, su questa strada si arriverebbe a capire anche che quei parametri di Maastricht esprimevano medie aritmetiche non valori evangelici e che la storia del mondo è andata da un’altra parte sotto la spinta di una crisi globale senza precedenti.
La vecchia Europa deve riempire di politica quei numeretti, prima di tutto nel suo interesse, che è quello di un assetto federale compiuto e solidale che gioca alla pari con l’America di Trump e l’espansionismo cinese, si misura con il grande focolaio globale del terrorismo, i risvegli nazionalisti alla Brexit e il protagonismo di Putin. Un’Italia con i conti a posto, che non si stanca di governare e rifulge dalle scorciatoie, può dire la sua a testa alta in questa Europa da ricostruire. Dipende da noi, anzi come direbbe Ciampi, sta in noi.