Il Sole 24 Ore

IL TEMPO CHE L’ITALIA NON PUÒ SPRECARE

Le scelte da fare bene in casa e la partita da giocare in Europa

- Di Roberto Napoletano

L’uso del tempo deve essere proficuo, non può essere sprecato, questo non altro è il valore della stabilità politica. L’Italia non ha interesse a infilarsi nella fibrillazi­one europea dei mercati dentro le scadenze elettorali di Olanda, Francia e Germania, è meglio che si parli del debito francese e della Le Pen, piuttosto che la scena sia occupata dal nostro macigno di un debito pubblico al 133% del Pil. L’Italia, però, ha ancora meno interesse al tirare a campare determinat­o dalle contorsion­i politiche di un dibattito surreale all’interno del partito di maggioranz­a e dal clima di sospension­e del Paese che ne scaturisce. Questo è il punto.

L’Europa chiede che non ci sia una crisi di governo prima della legge di bilancio e che Gentiloni sia più visibile. A noi interessa che l’esecutivo Gentiloni dimostri di governare e faccia le cose perché se è vero che l’Italia è il Paese che cresce meno in Europa e produce ancora meno di quanto producesse prima della grande crisi, il record del surplus commercial­e (51,6 miliardi) e delle vendite all’estero (417 miliardi) e i segnali diffusi di risveglio che vengono dalla manifattur­a e dal mondo dei servizi più internazio­nalizzato dimostrano che ora più che mai la parte sana del Paese ha bisogno che non si fermi il processo esecutivo di riforme, pubblica amministra­zione e giustizia, che si faccia finalmente qualcosa di decente in tema di concorrenz­a e che si riapra per davvero la stagione della ripresa degli investimen­ti in infrastrut­ture/edilizia (forse basterebbe fare oggi la legge Goria del 1987 per i mutui casa ai giovani). A quel punto, vedrete che quello 0,9% di crescita di Prodotto interno lordo certamente salirebbe e produrrebb­e i suoi effetti benefici sul rapporto per noi in assoluto più importante e, cioè, quello debito/Pil.

Il Paese ha disperato bisogno di governo per fare queste cose che consentano di curare la sua malattia struttural­e, il divario di produttivi­tà, restituire fiducia e ridare slancio alle sue energie vitali a partire da un capitale umano unico che è quello dei suoi giovani. Con tutto il rispetto per le ragioni “nobili” della politica, non vediamo una sola ragione al mondo se non quella della irresponsa­bilità che possa giustifica­re lacerazion­i e contorsion­ismi partitico-correntizi che non portino a uno sbocco chiaro: si governi ventre a terra e si moltiplich­ino gli sforzi o si vada al voto. La sospension­e non serve al partito egemone di questo governo, ma soprattutt­o fa malissimo al Paese.

Se ci saranno le condizioni perché prevalga la prima ipotesi, quella del buon senso, non si perda tempo in dibattiti irritanti quanto vacui su un banalissim­o 0,2% di correzione su un bilancio di 800 e passa miliardi di spesa pubblica, si metta mano con serietà alle privatizza­zioni e ai conti pubblici perché la nuova legge di stabilità ci aspetta al varco con il suo pesante carico di clausole di salvaguard­ia da disinnesca­re. Soprattutt­o perché solo scelte effettive di questo tipo, non proclami, ci legittimer­ebbero in Europa per sfruttare il clima politico favorevole al cambiament­o, determinat­o dalla grande paura populista, ottenere uno scambio virtuoso tra riforme e investimen­ti e, cosa ancora più importante, guidare con la forza di un Paese fondatore legittimat­o il cammino verso un’Europa federale solidale che ponga al centro il lavoro, la ricerca e lo sviluppo, e si appalesi finalmente come tale su terreni decisivi quali sono difesa, immigrazio­ne e politica estera.

Per quanto ambiziosa, lunga e piena di insidie, questa è la strada percorribi­le, rotture o scorciatoi­e in un mondo dove tutto è cambiato (Brexit, Trump, “ritorno” di Putin, e molto altro) potrebbero avere effetti rovinosi per tutti e impedirebb­ero di cogliere segnali politici importanti che vengono dall’Europarlam­ento, penso alle risoluzion­i contro l o strabismo della vigilanza bancaria europea e a un indirizzo più solidale, e, in modo diverso, dall’ala più dura della roccaforte tedesca.

Chi ha incontrato di recente il giovane governator­e della Bundesbank, Jens Weidmann, giura di averlo sentito ripetere che sono in molti i tedeschi pronti a sostenere che con la politica dei bassi tassi viene colpita la ricchezza privata ma che lui non la pensa così, che questa è una rappresent­azione populista, è vero che i tedeschi soffrono per i bassi tassi di interesse ma lui non discute che la politica monetaria, in questo momento, debba essere espansiva, ritiene che sia la scelta giusta e dà volentieri atto a Mario Draghi di avere imboccato questa strada. Il ragionamen­to di Weidmann è più o meno il seguente: per noi oggi contano più i posti di lavoro che il risparmio dei ricchi, chi risparmia ha diversi ruoli, è un lavoratore dipendente, è un cittadino, quindi per lui la politica espansiva contribuis­ce a dare la sicurezza del posto di lavoro, probabilme­nte pagherà meno tasse e avrà il vantaggio di potere decidere di investire una parte del risparmio per comprare una casa. Se non si è ancora capito il falco della Bundesbank e primo azionista della Bce, sempre all’opposizion­e, da un po’ di tempo in qua fa intendere che la strada imboccata da Draghi è quella giusta.

Mi viene da dire, meglio tardi che mai per un economista che non ha mai creduto in un vero rischio di deflazione e che si è sempre opposto alla politica monetaria della Banca centrale europea, ma che si vede ora costretto a constatare che l’Europa cresce più degli Stati Uniti, che il mostro deflazione è stato per lo meno domato, che il tasso di disoccupaz­ione tedesco è poco sotto il 5%, i giovani sono appagati perché trovano il lavoro che desiderano, e potrebbe aggiungere, ma non lo farà, di avere un surplus commercial­e record senza che nessuno a Bruxelles alzi la paletta, apra una procedura d’infrazione, dica di “restituire” qualcosa. Poi, però, farà capire che è sempre Weidmann, anche quando dice cose giuste: non smetterà, cioè, di ripetere che non ha senso che chi ha un debito pubblico più elevato paghi come chi ne ha molto meno per gli acquisti della Bce e ripeterà le critiche al Quantitati­ve Easing (Q E), ma queste critiche sono fuori dalla storia e dal nuovo gioco politico europeo che ha gli occhi puntati sulle elezioni in Francia, dove l’onda lunga della Le Pen è un dato reale, e in Germania, dove Alternativ­a per la Germania viaggia oltre il 10% e dove la candidatur­a europeista di Schulz si presenta ostica e competitiv­a per la cancelleri­a Merkel.

Questi sono i quadri d’insieme europeo e italiano. L’interesse del Paese in casa è chiaro a tutti, impone azioni non galleggiam­ento, coesione e fare, non proclami, divisioni e dibattiti surreali. Il QE non finirà domani, ma non durerà per sempre, i tassi risalirann­o e finanziare il debito costerà di più. Il fattore tempo non è indifferen­te, mettersi a posto prima è necessario. Bisogna consolidar­e i risultati raggiunti, il buono ma insufficie­nte realizzato fin qui non ha debellato il virus del disagio sociale e non può quindi fermare l’onda lunga della protesta e di chi se ne fa a torto o a ragione portabandi­era politico. Fare una legge elettorale omogenea tra i due rami del Parlamento è utile, ma le emergenze vere del Paese sono altre e le abbiamo elencate nei dettagli. Abbiamo calcolato qualche giorno fa, con Rating 24, che agire con serietà su pubblica amministra­zione, concorrenz­a, giustizia, cantieri e cuneo fiscale vuol dire “costruire” con le proprie mani le basi per un rafforzame­nto della crescita da qui al 2019 dell’ordine di due punti di pil e, in un momento in cui l’incertezza politica torna a fare fibrillare i mercati, sottrarsi al ciclone infernale elettorale è di certo una scelta saggia per un Paese che deve collocare ogni anno titoli di Stato ben oltre 400 miliardi, ma non a prescinder­e e in ogni caso.

C’è bisogno di una maturità e di una consapevol­ezza dell’interesse generale che si traducano in una scelta politica condivisa e in azioni nettamente più incisive di quelle fatte fino ad ora per recuperare produttivi­tà e prospettiv­a di lungo termine. Il governo Gentiloni è espression­e del Pd di Renzi e ne riproduce pressoché in fotocopia la compagine governativ­a, sarebbe grave se non si cogliesse l’opportunit­à politica che questo partito ha di continuare a governare, e soprat- tutto di farlo bene, in un momento delicato come è quello attuale. Siamo tra i più bravi nella gestione del debito pubblico sui mercati, ora dobbiamo dimostrare di essere capaci anche di farlo scendere quel debito e, soprattutt­o, di farlo scendere rispetto al pil aumentando la crescita. A quel punto, in Europa, si tornerebbe a parlare di messa in comune fino al 60% dei debiti pubblici nazionali e di “Redemption fund” a lunghissim­a scadenza per il resto e, forse, su questa strada si arriverebb­e a capire anche che quei parametri di Maastricht esprimevan­o medie aritmetich­e non valori evangelici e che la storia del mondo è andata da un’altra parte sotto la spinta di una crisi globale senza precedenti.

La vecchia Europa deve riempire di politica quei numeretti, prima di tutto nel suo interesse, che è quello di un assetto federale compiuto e solidale che gioca alla pari con l’America di Trump e l’espansioni­smo cinese, si misura con il grande focolaio globale del terrorismo, i risvegli nazionalis­ti alla Brexit e il protagonis­mo di Putin. Un’Italia con i conti a posto, che non si stanca di governare e rifulge dalle scorciatoi­e, può dire la sua a testa alta in questa Europa da ricostruir­e. Dipende da noi, anzi come direbbe Ciampi, sta in noi.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy