Governabilità più difficile, il nodo liste
Ci sono scissioni utili e scissioni inutili. Dal punto di vista dell’interesse del Paese. La scissione di Saragat nel 1947, per quanto lacerante, servì a dare all’Italia un governo che con tutti i suoi limiti ci ancorò alla Nato e all’Europa. Fare di tutto per cercare di assicurare un governo al Paese dopo le prossime elezioni. Questa dovrebbe essere la priorità oggi di elites responsabili. La eventuale scissione del Pd contribuirebbe a facilitare il raggiungimento di questo obiettivo? No, di certo. Tutto il contrario. Servirebbe solo a rendere il quadro politico ancora più confuso e più instabile di quanto sia ora, dopo il referendum di Dicembre e la sentenza della Consulta.
Un Pd unito può competere con il M5s per essere la prima forza politica del paese. In teoria potrebbe anche puntare al 40% dei voti e quindi alla maggioranza assoluta dei seggi alla Camera. E con un po’ di fortuna potrebbe addirittura vincere la lotteria del Senato grazie al fatto che molti voti dati a partiti che non arrivassero alle soglie di sbarramento lo aiuterebbero ad avere più seggi di quanti gli spetterebbero. In realtà sia l’uno che l’altro esito sono poco realistici. Ma la politica è fatta di finzioni. Un Pd unito si può permettere di fare una campagna elettorale di stampo maggioritario puntando alla soglia del 40%. Il tipo di campagna che si addice al suo attuale segretario. Un Pd diviso non potrebbe. Anche le finzioni devono fare i conti con la realtà. La scissione priverebbe definitivamente Renzi della carta maggioritaria, anche se finta. E questo è uno dei possibili obiettivi degli scissionisti.
L’altro obiettivo è costringere Renzi ad una scelta di campo prima del voto. Lo strumento sarà il premio alla coalizione. Oggi il premio va alla lista, non alla coalizione. Quindi annunciare coalizioni prima del voto non serve. Semmai si potrebbe fare un listone. Cioè mettere dentro la stessa lista più partiti. Ma è una operazione complicata e con molte controindicazioni. Cambiando la legge elettorale, con l’introduzione del premio alla coalizione, cambierebbero gli incentivi e quindi le strategie. Dopo la eventuale scissione aumenterebbero le pressioni su Renzi perché accetti questa modifica del Consultellum. Fare una coalizione prima del voto, con uno o più partiti alla sua sinistra, diventerebbe l’argomento per metterlo in difficoltà, alimentando l’eterna illusione che la sinistra possa governare da sola il paese. Ma non è proprio questa la coalizione con la quale Bersani si presentò alle elezioni politiche del 2013 ? Quella che ha portato la sinistra italiana a una delle peggiori sconfitte della sua storia. Prese il 29% dei voti. Altro che 40%. E cosa è cambiato da allora? Niente. Anzi. Il M5s è ancora più forte.
La coalizione pd + sinistre non può dare un governo all’Italia. La eventuale scissione da questo punto di vista non servirebbe a niente. Anzi, aggraverà la situazione. Indebolirebbe il Pd e renderebbe ancora più complicato il problema delle alleanze postelettorali. Molti non lo hanno ancora capito ma il 4 Dicembre è cambiato tutto. È finita la Repubblica delle coalizioni pre-eletto- rali ed è nata, con l’ausilio della Consulta, una Repubblica indefinita in cui la sola cosa certa è che il governo nascerà dopo il voto e sarà basato su coalizioni labili e eterogenee fatte dopo che i partiti si saranno contati nelle urne. Una coalizione Pd + sinistre, senza maggioranza, con chi farebbe il governo? Le sinistre accetterebbero di allearsi con Berlusconi? O assisteremmo di nuovo, come nel 2013, al penoso corteggiamento del M5s? Magari con lo stesso Bersani candidato-premier. La scissione sarebbe un disastro e il premio alla coalizione non servirebbe a niente. O meglio, sarebbe solo un regalo a Berlusconi che ne ha assolutamente bisogno per mettere insieme i pezzi sempre più divisi del centro-destra.
SCISSIONE E ALLEANZE L’eventuale scissione indebolirebbe il Pd e renderebbe ancora più complicato il problema delle alleanze post- voto
Ma non sono questi ragionamenti che fermeranno il motore della storia. Una storia minore alimentata da piccole convenienze e non da grandi idee. Una storia in cui gli interessi delle elites contano più degli interessi dei cittadini e del paese al di là della retorica imperante. Alla fine dei conti il ricatto della scissione mira soprattutto a ottenere più peso nel partito in vista delle elezioni e più posti in lista. Per i potenziali scissionisti la questione in fondo è semplice: conteranno di più dentro il partito o fuori? Non potendo vincere il congresso devono giocarsi le loro carte ora. In questo momento ll calcolo delle convenienze sembra pendere più dalla parte della scissione che da quella dell’unità. Ma c’è un cosa sulla quale non hanno riflettuto abbastanza. Se fallisse il ricatto e il Pd di Renzi si presentasse da solo al voto rischiano di restare esclusi completamente dal Senato. Nella migliore delle ipotesi potrebbero avere una sparuta rappresentanza. Ma forse nemmeno questo li fermerà. Gli basterà guadagnarsi un po’ di seggi alla Camera dove le soglie sono più basse. Il Paese può attendere.