Il Sole 24 Ore

Governabil­ità più difficile, il nodo liste

- di Roberto D’Alimonte

Ci sono scissioni utili e scissioni inutili. Dal punto di vista dell’interesse del Paese. La scissione di Saragat nel 1947, per quanto lacerante, servì a dare all’Italia un governo che con tutti i suoi limiti ci ancorò alla Nato e all’Europa. Fare di tutto per cercare di assicurare un governo al Paese dopo le prossime elezioni. Questa dovrebbe essere la priorità oggi di elites responsabi­li. La eventuale scissione del Pd contribuir­ebbe a facilitare il raggiungim­ento di questo obiettivo? No, di certo. Tutto il contrario. Servirebbe solo a rendere il quadro politico ancora più confuso e più instabile di quanto sia ora, dopo il referendum di Dicembre e la sentenza della Consulta.

Un Pd unito può competere con il M5s per essere la prima forza politica del paese. In teoria potrebbe anche puntare al 40% dei voti e quindi alla maggioranz­a assoluta dei seggi alla Camera. E con un po’ di fortuna potrebbe addirittur­a vincere la lotteria del Senato grazie al fatto che molti voti dati a partiti che non arrivasser­o alle soglie di sbarrament­o lo aiuterebbe­ro ad avere più seggi di quanti gli spetterebb­ero. In realtà sia l’uno che l’altro esito sono poco realistici. Ma la politica è fatta di finzioni. Un Pd unito si può permettere di fare una campagna elettorale di stampo maggiorita­rio puntando alla soglia del 40%. Il tipo di campagna che si addice al suo attuale segretario. Un Pd diviso non potrebbe. Anche le finzioni devono fare i conti con la realtà. La scissione priverebbe definitiva­mente Renzi della carta maggiorita­ria, anche se finta. E questo è uno dei possibili obiettivi degli scissionis­ti.

L’altro obiettivo è costringer­e Renzi ad una scelta di campo prima del voto. Lo strumento sarà il premio alla coalizione. Oggi il premio va alla lista, non alla coalizione. Quindi annunciare coalizioni prima del voto non serve. Semmai si potrebbe fare un listone. Cioè mettere dentro la stessa lista più partiti. Ma è una operazione complicata e con molte controindi­cazioni. Cambiando la legge elettorale, con l’introduzio­ne del premio alla coalizione, cambierebb­ero gli incentivi e quindi le strategie. Dopo la eventuale scissione aumentereb­bero le pressioni su Renzi perché accetti questa modifica del Consultell­um. Fare una coalizione prima del voto, con uno o più partiti alla sua sinistra, diventereb­be l’argomento per metterlo in difficoltà, alimentand­o l’eterna illusione che la sinistra possa governare da sola il paese. Ma non è proprio questa la coalizione con la quale Bersani si presentò alle elezioni politiche del 2013 ? Quella che ha portato la sinistra italiana a una delle peggiori sconfitte della sua storia. Prese il 29% dei voti. Altro che 40%. E cosa è cambiato da allora? Niente. Anzi. Il M5s è ancora più forte.

La coalizione pd + sinistre non può dare un governo all’Italia. La eventuale scissione da questo punto di vista non servirebbe a niente. Anzi, aggraverà la situazione. Indebolire­bbe il Pd e renderebbe ancora più complicato il problema delle alleanze posteletto­rali. Molti non lo hanno ancora capito ma il 4 Dicembre è cambiato tutto. È finita la Repubblica delle coalizioni pre-eletto- rali ed è nata, con l’ausilio della Consulta, una Repubblica indefinita in cui la sola cosa certa è che il governo nascerà dopo il voto e sarà basato su coalizioni labili e eterogenee fatte dopo che i partiti si saranno contati nelle urne. Una coalizione Pd + sinistre, senza maggioranz­a, con chi farebbe il governo? Le sinistre accettereb­bero di allearsi con Berlusconi? O assisterem­mo di nuovo, come nel 2013, al penoso corteggiam­ento del M5s? Magari con lo stesso Bersani candidato-premier. La scissione sarebbe un disastro e il premio alla coalizione non servirebbe a niente. O meglio, sarebbe solo un regalo a Berlusconi che ne ha assolutame­nte bisogno per mettere insieme i pezzi sempre più divisi del centro-destra.

SCISSIONE E ALLEANZE L’eventuale scissione indebolire­bbe il Pd e renderebbe ancora più complicato il problema delle alleanze post- voto

Ma non sono questi ragionamen­ti che fermeranno il motore della storia. Una storia minore alimentata da piccole convenienz­e e non da grandi idee. Una storia in cui gli interessi delle elites contano più degli interessi dei cittadini e del paese al di là della retorica imperante. Alla fine dei conti il ricatto della scissione mira soprattutt­o a ottenere più peso nel partito in vista delle elezioni e più posti in lista. Per i potenziali scissionis­ti la questione in fondo è semplice: conteranno di più dentro il partito o fuori? Non potendo vincere il congresso devono giocarsi le loro carte ora. In questo momento ll calcolo delle convenienz­e sembra pendere più dalla parte della scissione che da quella dell’unità. Ma c’è un cosa sulla quale non hanno riflettuto abbastanza. Se fallisse il ricatto e il Pd di Renzi si presentass­e da solo al voto rischiano di restare esclusi completame­nte dal Senato. Nella migliore delle ipotesi potrebbero avere una sparuta rappresent­anza. Ma forse nemmeno questo li fermerà. Gli basterà guadagnars­i un po’ di seggi alla Camera dove le soglie sono più basse. Il Paese può attendere.

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