Il Sole 24 Ore

Il paradosso della scissione

- di Lina Palmerini

Se scissione sarà, oltre al trauma produrrà un grande paradosso. Che chi lascia il Pd di Renzi in radicale opposizion­e con la sua politica, vuole - però - sostenere il Governo Gentiloni, cioè una ”fotocopia” dell’Esecutivo Renzi.

Al momento, uno dei motivi su cui si consuma il rischio scissione è sulla data delle elezioni che trascina con sé la data del congresso. Non una questione di calendario, spiegano dalla sinistra Pd che vuole il voto nel 2018 per garantire stabilità al Paese. E qui nasce un paradosso. Perché la stessa sinistra si pone in radicale opposizion­e a Renzi ma, allo stesso tempo, vuole sostenere un Governo che è la fotocopia di quello precedente. In pratica, uscirebbe dal Pd per rafforzare un Esecutivo in continuità con le politiche renziane. Che sia questa la missione lo aveva detto lo stesso Gentiloni al momento di assumere l’incarico con- fermando il programma di riforme del suo predecesso­re. E allora, il cortocircu­ito della scissione è che i sostenitor­i più forti del Governo diventereb­bero gli avversari di Renzi mentre lui - che è l’azionista di riferiment­o - proverebbe a farlo cadere.

Un paradosso che diventa ancora più stridente quando si ragiona sui numeri. Nei giorni scorsi, nelle numerose riunioni che la minoranza Pd ha tenuto al suo interno per prepararsi a tutti gli scenari, si è discusso anche della nascita di nuovi gruppi parlamenta­ri dopo la rottura. Il calcolo è che con la sinistra di Bersani e Speranza, andrebbero 41 deputati e 23 senatori. Una pattuglia di tutto rispetto che però non pescherebb­e so- lo dalle fila del Pd ma anche dai gruppi che oggi sono all’opposizion­e come, per esempio, da Sinistra italiana (ex Sel) che non sosteneva il Governo Renzi e che – oggi - non sostiene quello Gentiloni. In pratica, con lo strappo, si rafforzere­bbe la maggioranz­a portando al Governo numeri in più di quelli che ha oggi. Alla fine, si potrebbero ritrovare a votare la fiducia pure quelli che non l’hanno mai fatto pur di non andare al voto prima del febbraio 2018.

L’obiettivo della stabilità è un argomento e ha una sua forza ma in questo contesto si fa fatica a non cogliere gli aspetti contraddit­tori. Decidere una rottura traumatica con il Pd di Renzi per l’incompatib­ilità con la sua visione del Paese e poi sostenere un Governo che si muove su quella scia, è un azzardo politico oltre che un paradosso. E soprattutt­o scatenerà un gioco tutto tattico - e poco di sostanza - tra chi vorrà continuare la legislatur­a a tutti i costi chi - come Renzi - vorrà interrompe­rla. Una partita fatta di trappole che certo non produrrà stabilità ma il suo contrario. È probabile che l’incidente ci sarà sui voucher ma di certo quello che appare poco probabile è che il Pd di Renzi e la nuova sinistra (ex Pd) potranno scrivere insieme la legge di bilancio con cui si presentera­nno alle urne. Come faranno due partiti in guerra tra loro, con una visione divergente della crisi e del- le sue soluzioni, a mediare sulle misure economiche? Una scissione esige una sua declinazio­ne coerente nelle politiche per il Paese e, quindi, una distanza con la “casa” che si è lasciata. C’è, quindi, nel passaggio tra il “no” a Renzi e il “sì” a Gentiloni un angolo un po’ buio che non si sa ancora come svoltare. E che è al centro delle ultime discussion­i e mediazioni notturne prima dell’assemblea Pd di oggi.

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