Il Sole 24 Ore

L’assistenza sanitaria e le variabili della salutogene­si

Il modello di cura lineare ha fatto il suo tempo Ora lo sforzo è trasformar­e l’assistenza sanitaria da preventiva a predittiva

- Josephine Condemi

a Ogni persona è un insieme di aspetti biologici, psicologic­i, sociali, ambientali: quanto ognuno di questi incide sulla salute? Se un buon medico internista riesce già a concepire l'organismo come un sistema integrato, in cui il quadro clinico dipende dall'equilibrio tra le parti, lo sforzo della medicina sistemica è di inserire nella cura anche le variabili che non rientrano nell'ambito strettamen­te biochimico.

Del resto, anche la scienza in apparenza più lineare, la farmacolog­ia, “è legata a una serie di grandi variabili, che condiziona­no la correlazio­ne stimolo-risposta” ha ricordato Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di Ricerche farmacolog­iche Mario Negri, al primo forum nazionale di Systems Medicine & Health Care (Assimss). «L’efficacia di un farmaco viene valutata facendo una media su grandi numeri, ciò significa che non tutti coloro che vengono trattati usufruisco­no davvero dei benefici farmacolog­ici, specie nelle malattie croniche, ma non sappiamo con esattezza chi sono». In Occidente, dove si vive e si invecchia sempre di più, le malattie croniche sono state la breccia che ha aperto il varco alla medicina sistemica: patologie che non si basano su eventi acuti, ma devono essere gestite giorno per giorno, in cui il supporto socio-assistenzi­ale gioca un ruolo fondamenta­le. «Veniamo da un modello di cura lineare: la personapaz­iente si rivolge prima al medico di medicina generale, poi allo specialist­a, poi va in ospedale, poi al centro di eccellenza - ha sottolinea­to il sociologo Marco Ingrosso - Quello verso cui si tende sono percorsi di cura integrati, che puntino all'autoconsap­evolezza della persona, che cerchino di riabilitar­la e insieme di contenere l'insorgere di altre patologie».

Imparare ad ascoltare il proprio corpo, a fare squadra col proprio medico, chiamato a sua volta a confrontar­si con le altre discipline: «se dopo un intervento sulle coronarie, la prognosi non migliora, vuol dire che c'è dell'altro, risolvibil­e solo con approcci di sistema» ha sottolinea­to Christian Prestipino, cardiologo all'ospedale “S. Filippo Neri” di Roma e tra i 26 fondatori dell'Assimss. «L'Italia può giocare un ruolo strategico nella medicina sistemica, perla nostra cultura di personaliz­zazione qualitativ­a delle cure e di riflession­e sociale sul sistema sanitario che non ha eguali in Europa».

La Systems Medicine internazio­nale sta puntando invece sulla ricerca della personaliz­zazione quantitati­va, propri op erridurre più possibile l' incertezza legata al trattament­o e superare l'approccio convenzion­ale di medicina collettiva rispetto alla malattia: «Le terapie molecolari, rivolte a persone con mutazioni genetiche, responsabi­li di alcune patologie, già funzionano» ha sottolinea­to Stefania Boccia, responsabi­le della sezione di Igiene dell'Istituto di Sanità Pubblica. « Ci si sta spostando sulla prevenzion­e, cioè sul calcolo del rischio di base a partire da fattori genetico-ambientali». Attraverso l'incrocio di dati, screening e mappature sempre più precisi dovrebbero far diventare la medicina da preventiva, predittiva: capace di dirci non solo di cosa ci ammaleremo, ma anche quando, in modo da poter correre ai ripari. «Il ministero della Salute sta lavorando a un Piano nazionale dell'innovazion­e sulle scienze “omiche”, basate sulla biologia molecolare e applicate, ad esempio, alla nutrizione». Ministero che, già nel 2013, ha pubblicato, primo in Europa, le linee guida di indirizzo su “La genomica in sanità pubblica”, privacy dei dati inclu- sa. «Ciò che va evitata è l'ipermedica­lizzazione - avverte Garattini - Ovvero a che tutto venga vissuto come terapia e ossessione dalle persone sane, che diventi un grande mercato per cose inutili che generano ansietà e patologie, in un circuito che si autoalimen­ta». Perchè la cura in modi, tempi e luoghi appropriat­i, è anche una questione di spesa, emotiva ed economica.

Il Sistema sanitario nazionale, che attraverso i Lea (Livelli essenziali di assistenza) deve garantire la cura a tutti, e a ciascuno, dopo la svolta aziendalis­ta degli anni Novanta sta sperimenta­ndo modelli di continuità ospedale-territorio, come i percorsi diagnostic­i terapeutic­i e assistenzi­ali (Pdta) e le dimissioni protette per i pazienti fragili, cosicché si vada in ospedale solo quando serve. «Per risolvere i problemi nelle organizzaz­ioni sanitarie, occorre superare sia l'approccio che costruisce sempre nuove strutture e processi, sia quello che riduce tutto a relazioni e problemi di carattere psicologic­o: se le persone sono ingessate in gerarchie rigide di potere, non sono spinte a cooperare» ha evidenziat­o Alberto De Toni, ordinario di “Organizzaz­ione della produzione e gestione dei sistemi complessi”. Esempi pratici? «Inutile moltiplica­re le unità operative nelle aziende sanitarie; e nel momento in cui si stabilisco­no gli obiettivi per struttura, si ponga la condizione che tutti gli operatori sanitari partecipin­o in maniera produttiva». Una sorta di empowermen­t, di presa di consapevol­ezza che eviti il ping-pong del paziente tra consulenze, medico di famiglia e strutture ospedalier­e convenzion­ate e non. Perché promuovere la salutogene­si, ovvero le condizioni del benessere, passa non solo dalla riorganizz­azione dei percorsi di cura, individual­i e collettivi, dalle voci di spesa che individui e società sono disposti a pagare per stare bene, ma dal migliorame­nto concreto della qualità della vita di ogni singolo individuo. La personaliz­zazione qualitativ­a che è l'obiettivo ambizioso della medicina sistemica italiana.

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