L’assistenza sanitaria e le variabili della salutogenesi
Il modello di cura lineare ha fatto il suo tempo Ora lo sforzo è trasformare l’assistenza sanitaria da preventiva a predittiva
a Ogni persona è un insieme di aspetti biologici, psicologici, sociali, ambientali: quanto ognuno di questi incide sulla salute? Se un buon medico internista riesce già a concepire l'organismo come un sistema integrato, in cui il quadro clinico dipende dall'equilibrio tra le parti, lo sforzo della medicina sistemica è di inserire nella cura anche le variabili che non rientrano nell'ambito strettamente biochimico.
Del resto, anche la scienza in apparenza più lineare, la farmacologia, “è legata a una serie di grandi variabili, che condizionano la correlazione stimolo-risposta” ha ricordato Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri, al primo forum nazionale di Systems Medicine & Health Care (Assimss). «L’efficacia di un farmaco viene valutata facendo una media su grandi numeri, ciò significa che non tutti coloro che vengono trattati usufruiscono davvero dei benefici farmacologici, specie nelle malattie croniche, ma non sappiamo con esattezza chi sono». In Occidente, dove si vive e si invecchia sempre di più, le malattie croniche sono state la breccia che ha aperto il varco alla medicina sistemica: patologie che non si basano su eventi acuti, ma devono essere gestite giorno per giorno, in cui il supporto socio-assistenziale gioca un ruolo fondamentale. «Veniamo da un modello di cura lineare: la personapaziente si rivolge prima al medico di medicina generale, poi allo specialista, poi va in ospedale, poi al centro di eccellenza - ha sottolineato il sociologo Marco Ingrosso - Quello verso cui si tende sono percorsi di cura integrati, che puntino all'autoconsapevolezza della persona, che cerchino di riabilitarla e insieme di contenere l'insorgere di altre patologie».
Imparare ad ascoltare il proprio corpo, a fare squadra col proprio medico, chiamato a sua volta a confrontarsi con le altre discipline: «se dopo un intervento sulle coronarie, la prognosi non migliora, vuol dire che c'è dell'altro, risolvibile solo con approcci di sistema» ha sottolineato Christian Prestipino, cardiologo all'ospedale “S. Filippo Neri” di Roma e tra i 26 fondatori dell'Assimss. «L'Italia può giocare un ruolo strategico nella medicina sistemica, perla nostra cultura di personalizzazione qualitativa delle cure e di riflessione sociale sul sistema sanitario che non ha eguali in Europa».
La Systems Medicine internazionale sta puntando invece sulla ricerca della personalizzazione quantitativa, propri op erridurre più possibile l' incertezza legata al trattamento e superare l'approccio convenzionale di medicina collettiva rispetto alla malattia: «Le terapie molecolari, rivolte a persone con mutazioni genetiche, responsabili di alcune patologie, già funzionano» ha sottolineato Stefania Boccia, responsabile della sezione di Igiene dell'Istituto di Sanità Pubblica. « Ci si sta spostando sulla prevenzione, cioè sul calcolo del rischio di base a partire da fattori genetico-ambientali». Attraverso l'incrocio di dati, screening e mappature sempre più precisi dovrebbero far diventare la medicina da preventiva, predittiva: capace di dirci non solo di cosa ci ammaleremo, ma anche quando, in modo da poter correre ai ripari. «Il ministero della Salute sta lavorando a un Piano nazionale dell'innovazione sulle scienze “omiche”, basate sulla biologia molecolare e applicate, ad esempio, alla nutrizione». Ministero che, già nel 2013, ha pubblicato, primo in Europa, le linee guida di indirizzo su “La genomica in sanità pubblica”, privacy dei dati inclu- sa. «Ciò che va evitata è l'ipermedicalizzazione - avverte Garattini - Ovvero a che tutto venga vissuto come terapia e ossessione dalle persone sane, che diventi un grande mercato per cose inutili che generano ansietà e patologie, in un circuito che si autoalimenta». Perchè la cura in modi, tempi e luoghi appropriati, è anche una questione di spesa, emotiva ed economica.
Il Sistema sanitario nazionale, che attraverso i Lea (Livelli essenziali di assistenza) deve garantire la cura a tutti, e a ciascuno, dopo la svolta aziendalista degli anni Novanta sta sperimentando modelli di continuità ospedale-territorio, come i percorsi diagnostici terapeutici e assistenziali (Pdta) e le dimissioni protette per i pazienti fragili, cosicché si vada in ospedale solo quando serve. «Per risolvere i problemi nelle organizzazioni sanitarie, occorre superare sia l'approccio che costruisce sempre nuove strutture e processi, sia quello che riduce tutto a relazioni e problemi di carattere psicologico: se le persone sono ingessate in gerarchie rigide di potere, non sono spinte a cooperare» ha evidenziato Alberto De Toni, ordinario di “Organizzazione della produzione e gestione dei sistemi complessi”. Esempi pratici? «Inutile moltiplicare le unità operative nelle aziende sanitarie; e nel momento in cui si stabiliscono gli obiettivi per struttura, si ponga la condizione che tutti gli operatori sanitari partecipino in maniera produttiva». Una sorta di empowerment, di presa di consapevolezza che eviti il ping-pong del paziente tra consulenze, medico di famiglia e strutture ospedaliere convenzionate e non. Perché promuovere la salutogenesi, ovvero le condizioni del benessere, passa non solo dalla riorganizzazione dei percorsi di cura, individuali e collettivi, dalle voci di spesa che individui e società sono disposti a pagare per stare bene, ma dal miglioramento concreto della qualità della vita di ogni singolo individuo. La personalizzazione qualitativa che è l'obiettivo ambizioso della medicina sistemica italiana.