Il Sole 24 Ore

Ritratto di Umberto da giovane

Un anno fa moriva Eco. I suoi primi anni di attività, qui ricordati, testimonia­no il carattere innovativo della sua visione della cultura

- Mario Andreose

Non ho mai pensato che il tardivo approdo in cattedra del professore Umberto Eco, all’età di 43 anni, per quanto paradossal­e, possa aver costituito per l ui un problema. Non ne aveva il tempo, tante e tali er a n o l e s o p r a v v e n i e n z e , fin dalla tesi di laurea sul

Problema estetico in San Tommaso, imposta, quasi, al suo maestro Luigi Pareyson, non particolar­mente interessat­o al pensiero medievale, ma fiducioso del suo scolaro. Invece di rifugiarsi nella tranquilla, munita biblioteca universita­ria torinese, Umberto si prende qualche mese per una piena immersione medievale nel tessuto urbano di Parigi: Notre Dame, Sainte Geneviève, Musée de Cluny, Sainte Chapelle e poi i calchi a grandezza naturale delle meraviglie romaniche e gotiche al Musée des monuments nationaux français. ( Altri itinerari lo attirerann­o poi, come quelli degli eroi di Dumas e Hugo, tanto da divenire una guida impareggia­bile della Ville Lumière artistica e letteraria).

In questo momento Umberto è ancora un cattolico militante, attivo dirigente della Gioventù italiana di Azione Cattolica, vicino alla linea di « Esprit » , la rivista fondata da Emmanuel Mounier. Molto meno a quella dell’allora presidente dell’Azione Cattolica Luigi Gedda, un genetista propugnato­re della separazion­e delle razze, che auspica un’alleanza governativ­a dei democristi­ani con neofascist­i e monarchici per scongiurar­e il “pericolo comunista”. Pio XII tace, ma De Gasperi lo sconfessa. (Un’occasione più propizia per i neofascist­i si presenterà qualche decennio più avanti con il governo Berlusconi). Questo provoca le dimissioni di Umberto, la cui fede già traballava proprio nel momento di più intensa vicinanza con il teologo aquinate. E qui entra in gioco Joyce, un incontro fatale per il neolaureat­o, folgorato soprattutt­o dal Ritratto del

l’artista da giovane. Gli sarà sembrato di guardarsi allo specchio: Stephen Dedalus (dal quale mutuerà in seguito il nom de plume per determinat­e occasioni), giovane inquieto, di profonda educazione religiosa inculcatag­li da severissim­i gesuiti irlandesi, interessat­o ai principi estetici di San Tommaso, con grossi problemi a ottemperar­e al Sesto Comandamen­to, decide di cambiare aria e di trasferirs­i a Parigi e iniziare una vita d’artista, per l’appunto. Sostanzial­mente, la storia di un’apostasia. Anche Umberto trasloca, grazie a un concorso bandito dalla Rai per lo sviluppo di programmi culturali televisivi. Lo vince, assieme a due amici e sodali Furio Colombo e Gianni Vattimo, con i quali, a 22 anni, si presenta nella sede di Milano in formazione, come i Tre Moschettie­ri.

Non deve averla presa bene Luigi Pareyson, sia come professore sia come credente, se il dialogo con il suo pupillo subirà una pausa di quindici anni, prima della rappacific­azione, che ne precede di poco la scomparsa. Nel segno della validità degli strumenti di interpreta­zione applicati ai nuovi media, Umberto pubblicher­à comunque, nella pareysonia­na «Rivista di estetica», un saggio su television­e ed estetica. Nei corridoi di corso Sempione è un via vai di pionieri della tv, quelli raccontati da Aldo Grasso, sciami di ballerine, giornalist­i, attori, musicisti e scrittori anche di gran nome. Umberto lega subito con Luciano Berio che dirige un Laboratori­o di fonologia, con Bruno Maderna, dove sono ospiti regolari Boulez, Stockhause­n, Pousseur, e può capitare in visita Stravinski­j; è qui che incontra per la prima volta Roland Barthes e Roman Jakobson, figure fondamenta­li per il suo futuro approdo alla semiotica. L’impiego in Rai gli lascia spazio per studiare e scrivere in una sempre più intensa attività pubblicist­ica: inizia una collaboraz­ione con «l’Espresso», sin dal ’65, che durerà tutta la vita, e con «Il Verri» di Luciano Anceschi, al quale lo accomuna l’interesse per le nuove avanguardi­e letterarie e artistiche. Ai convegni di filosofia, nei momenti di stanca, compone una specie di Bignami, scientific­amente ineccepibi­le, che parafrasa il versificar­e del «Corriere dei piccoli». Oltre a intrattene­re gli amici all’osteria, lo pubblica, firmato Dedalus, con il titolo Filosofi in liber

tà, illustrato da suoi gustosissi­mi disegni (oggi si trova incluso nel Secondo diario minimo). Ci ha raccontato Valentino Bompiani che, dopo averlo letto, volle conoscerne subito l’autore; e fu così che Umberto, dopo quattro anni di Rai, cambiò nuovamente mestiere. Siamo nel ’59, a trent’anni dalla fondazione della casa editrice, e Valentino, al di là dell’ammirazion­e per il colto parodista, deve trovare un sostituto di Enzo Paci (nel frattempo reclutato da Alberto Mondadori al Saggiatore) per la direzione di “Idee nuove”, la collana ideata nel ’34 da Antonio Banfi a contrastar­e l’egemonia dell’idealismo di Croce e Gentile. Per Umberto, che la scuola di Pareyson ha portato in posizione opposta a quella di Croce in estetica, è il meglio che gli potesse capitare, perché scopre che lavorare in questa casa

editrice è come vivere in una biblioteca continuame­nte aggiornata e consonante con i suoi studi. Tra gli autori da lui pubblicati figurano, in sequenza, Whitehead, Husserl, Merleau-Ponty, Sartre, Hyppolite, Arendt, Reichenbac­h, Baudrillar­d; ma intanto, l’ondata di scienze umane che in quel tempo invade l’università e l’editoria lo obbliga ad allargare l’orizzonte: a “Idee nuove” affianca “Uomo e società”, dove compaiono Jung, Kerényi, Mead, Fromm. Binswanger, Bastide... La prospettiv­a accademica per lui si rianima con la libera docenza in Estetica nel ’61, lo stesso anno in cui pubblica il suo primo libro alla Bompiani assieme a G.B. Zorzoli: Storia figurata delle invenzioni, una grande opera illustrata in due volumi la cui grafica è affidata a Renate Ramge, una bellezza teutonica, che l’anno dopo diventa sua moglie e, nel giro di due anni, la mamma di Stefano e Carlotta. Per unire l’utile al dilettevol­e, i due si sposano a Francofort­e, in occasione della Buchmesse, e la trasferta vale anche come viaggio di nozze, che lo sposo ribattezza «viaggio di bozze».

Umberto sarebbe riluttante a pubblicare per la casa in cui lavora, ma Valentino sa convincerl­o e il risultato è un decennio formidabil­e, scandito dai titoli che segnano il suo percorso teoretico da Pareyson a Peirce:

Opera aperta, ’62; Apocalitti­ci e integrati, ’64; Le poetiche di Joyce, ’66; La struttura assente, ’68. Tra gli effetti collateral­i, tutto lavoro in più, arrivano le numerose traduzioni da seguire e gli inviti, come lettore e visi

ting professor, a partire dal ’69, da parte di varie università del mondo. E poi ci sono i convegni, come quello decisivo di Parigi del ’68, dove si conclude la sua breve parentesi struttural­ista e, prendendo le distanze da Lévi-Strauss, Lacan, Foucault e Derrida, imbocca definitiva­mente la via della semiotica in compagnia dell’amico Barthes e di Jakobson. In prosieguo, fonda la rivista di studi semiotici «Versus» e la collana “Il campo semiotico” che continuerà a dirigere anche in veste di consulente.

Un libro uscito nel ’63, per eccezione da Mondadori, è Diario minimo, omonimo della rubrica che teneva sul «Verri», e inaugura, nell’ambito della sua produzione, la serie da lui stesso definita «saggistica leggera»: un libro epocale, oggetto di intratteni­mento, con lettura di pezzi a voce alta, nei salotti e in altri luoghi di ritrovo. Da editore, per una opportuna diversific­azione del catalogo e del target di lettori, si inventa, a cavallo dei Settanta, la collana “Amletica leggera” (titolo suggerito da Luciano Mauri), in armonia con i suoi interessi e divagazion­i e un insopprimi­bile bisogno di divertimen­to (qualcuno lo rimprovere­rà di trattare Topolino come Dante). Tra i titoli pubblicati: le strisce dei Peanuts di Schulz, quelle di Mafalda di Quino e di Jules Feiffer, Il malloppo di Marcello Marchesi, i testi da cabaret di Woody Allen, che traduce con Cathy Barberian, gli epigrammi di Stanislaw Lec e i divertisse

ments di Villaggio e Jannacci. Sono diciassett­e gli anni passati alla Bompiani, quando, nel ’75, Umberto vince la cattedra di Semiotica all’Università di Bologna, in concomitan­za con la pubblicazi­one del Trattato di semiotica generale. Ma da qui ha inizio un’altra storia.

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 ??  ?? OLYCOM lettore di fumetti Umberto Eco (5 gennaio 1932-19 febbraio 2016) nei primi anni Cinquanta
OLYCOM lettore di fumetti Umberto Eco (5 gennaio 1932-19 febbraio 2016) nei primi anni Cinquanta

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