L’impegno americano e gli obblighi dell’Europa
C’è qualche cosa di nuovo e di antico sul fronte occidentale. Il generale James Mattis, segretario alla Difesa, questa settimana ha delineato il nuovo “arco dell’instabilità” che va dall’Est Europa al Mediterraneo passando per il Medio Oriente fino all’Asia: una definizione che ne rievoca un'altra, l’”arco della crisi” reso celebre nel 1978 dal capo della sicurezza nazionale Brzezinski, l’architetto della guerra dei mujaheddin in Afghanistan contro l’Urss, quando gli integralisti erano i “nostri eroi” e non i “barbari” dell’Isis. Ma questa volta, a differenza del secolo scorso, terrorismo e migrazioni sono entrati nel cuore dell’Europa.
Il generale Mattis, combattente in Afghanistan e a Falluja in Iraq, autore con Petraeus di un manuale sulla controguerriglia, oltre a conoscere i conflitti è forse l’unico alla Casa Bianca, dopo il siluramento di Flynn per gli abboccamenti con Mosca, a possedere una visione strategica. Gli altri sono orecchianti.
Per condurre le guerre a vantaggio degli Stati Uniti, sul piano militare ed economico, Mattis sa che ha bisogno degli alleati di sempre, gli europei, e che gli europei dovranno pagare di più per l’ombrello americano e Nato: o si aumentano le spese per la difesa (l’obiettivo del 2% del Pil costerà 100 miliardi di dollari a 22 Paesi europei), come ha promesso ieri la cancelliera Merkel, oppure si aumentano le truppe sul campo. Ed è quello che ha fatto l’Italia presente in Iraq con 1.500 uomini, il secondo contingente dopo quello Usa. Una parte è asserragliata a guardia dei lavori alla diga di Mosul, postazione surreale a metà tra il Deserto dei Tartari di Buzzati e la trappola all’irachena. Nel conto delle missioni estere sono compresi 900 soldati a Herat, ai confini con l’Iran, Paese chiave per le nostre commesse, e il contingente in Libano che consente una prospettiva ravvicinata del triangolo SiriaLibano-Israele. Oggi tra l’altro a Monaco, per una singolare coincidenza, israeliani e iraniani siederanno per la prima volta allo stesso tavolo.
La presenza militare però non basta a ottenere assicurazioni sulla Libia, la nostra pompa di gas e benzina, trampolino di lancio dei migranti, dove dovremo arrivare a patti con l’Egitto, la Russia e forse i Fratelli Musulmani per tenere insieme i pericolanti interessi nazionali.
Di nuovo, ma non troppo, c’è un'altra sconfessione di Trump in politica estera. In campagna elettorale aveva definito la Nato «obsoleta» e adesso in pochi giorni è tornata di moda, anche se l’Europa dovrà allargare i cordoni della borsa. Il sostegno Usa alla Nato è «incrollabile» ha detto il vicepresidente americano Mike Pence alla Conferenza per la Sicurezza di Monaco. Si torna all’antico, compresa la contrapposizione con Mosca che, come ha detto Pence, verrà incalzata sull’Ucraina, dossier sempre più incandescente.
La correzione di rotta era stata preceduta dal discorso di Mattis alla Nato e poi dal segretario di Stato Rex Tillerson nell’incontro con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, al quale ha detto al G-20 di Bonn che una cooperazione militare con Mosca è impossibile finché la Russia non riconosce «che non tutta l’opposizione siriana è formata da terroristi», ovvero fino a quando i russi, Assad e gli iraniani non accetteranno un compromesso con le fazioni sostenute da sauditi e monarchie del Golfo, i grandi acquirenti di armi americane. Anche qui “business as usual”.
La fatale attrazione TrumpPutin potrebbe raffreddarsi davanti alla realpolitik: bisogna tenersi buoni i clienti degli Usa e comunque ci vuole un nemico per far lavorare l’industria bellica. Quello cinese è sfuggente, il russo è a portata di mano. Il primo segretario della Nato Lord Ismay, consigliere di Churchill, sintetizzò nel ’49 la funzione dell’Alleanza con uno slogan efficace: «Tenere fuori la Russia, dentro gli americani e i tedeschi sotto controllo». Lavrov ha intuito il ritorno all’antico dichiarando a Monaco che «la Nato è ancora un’istituzione della guerra fredda». L’”arco dell'instabilità” di Mattis è fluttuante ma poggia su solide certezze, che gli europei si preparano a pagare.
L’ARCO DELL’INSTABILITÀ Nella definizione del capo del Pentagono Mattis comprende l’Est Europa, Mediterraneo, Medio Oriente e Asia