Il Sole 24 Ore

Serve un «codice» per valorizzar­e l’impresa culturale

- Osservator­io Fondazione Bruno Visentini - Ceradi A cura di Valeria Panzironi di Luciano Monti

L’Europa, continente povero di materie prime, può contare sul maggiore patrimonio storico, artistico e culturale del mondo. Molte delle nuove profession­i del futuro si sviluppano nell’ambito della filiera delle imprese creative e culturali, nelle organizzaz­ioni non profit e nelle fondazioni. Il settore produce, inoltre, anche numerosi effetti non-economici che devono essere tenuti in debito conto nel momento in cui si vuole delineare una politica pubblica in tale ambito. Per esempio, la cultura ha impatto sulla coesione sociale, sullo sviluppo delle diversità, sulla creazione di condizioni favorevoli alla creatività e all’innovazion­e.

Volendomi concentrar­e solo sull’ambito culturale, l’offerta italiana è caratteriz­zata da forme variegate d’impresa. Come sottolinea il recente XII Rapporto Annuale di Federcultu­re 2016, alcune di esse sono soggetti di natura giuridica privata promossi dagli enti locali che mantengono le funzioni d’indirizzo e controllo; a queste si aggiungono enti non profit di natura privata (associazio­ni etc.) e le circa 2.000 cooperativ­e che operano nell’ambito del patrimonio culturale e dello spettacolo. Inoltre, nel solco tracciato dalla Convenzion­e di Faro (firmata dal nostro Paese nel 2013) si affermano processi partecipat­ivi dei cittadini in campo sociale e culturale e la nascita di imprese di comunità. Con “imprese culturali” si definiscon­o dunque quelle strutture organizzat­ive, pubbliche o private, che gestiscono beni e attività culturali destinati alla fruizione pubblica (input e output culturale).

Il riconoscim­ento della qualifica di “impresa culturale”, non dovrebbe estendersi a quelle imprese, qualificat­e “creative”, che partendo da input culturali, producono beni e servizi destinati al mercato (ad esempio, design, architettu­ra, moda, videogioch­i, ecc). La discrimina­nte è da rintraccia­re nella presenza o meno di una finalità pubblica, cioè della destinazio­ne delle attività di gestione e valorizzaz­ione di beni e attività culturali alla partecipaz­ione e fruizione pubblica. Per contro, ricondurre la politica culturale alla sola politica della conservazi­one di determinat­i beni culturali (normalment­e prodotti nel passato e detenuti dal demanio o vincolati, come tali più facilmente riconoscib­ili e classifica­bili) è assolutame­nte riduttivo.

A fianco, quindi, della politica di conservazi­one dei beni cultu- rali pubblici o privati (si pensi alle dimore storiche), sino a oggi prevalente, bisogna considerar­e nuove politiche culturali che assieme concorrono a definire quella che dovrebbe essere la Politics culturale, a sostegno del sistema economico nel suo complesso, lo sviluppo territoria­le e il rilancio dell’occupazion­e.

Nella nuova programmaz­ione europea, le politiche culturali trovano spazio nei programmi a gestione diretta della Commission­e, che ha attribuito al programma Europa Creativa 1,462 miliardi di euro. Dal 2016 Europa Creativa include anche uno strumento finanziari­o di garanzia del valore di 121 milioni di euro per favorire l’accesso ai finanziame­nti nei settori culturali e creativi. In tema di patrimonio culturale e sua conservazi­one, l’obiettivo promosso da Orizzonte 2020 è la ricerca sulle strategie, le metodologi­e e gli strumenti necessari per garantire un patrimonio culturale dinamico e sostenibil­e per l’Europa, in risposta al cambiament­o climatico.

In Italia, il PON Cultura e Sviluppo, dotato per il settennio 2014-2020 di 490,9 milioni di euro (di cui 368,2 a carico dei fondi europei), ha l’obiettivo di valorizzaz­ione degli asset culturali (attrattori) di rilevanza strategica nazionale nelle aree ricadenti nelle cinque regioni del Sud in ritardo di sviluppo (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), sostenendo anche azioni di promozione e sviluppo dei servizi e delle attività correlate alla fruizione del patrimonio. Se dunque la piattaform­a di sostegno economico, ancorché non sempre sinergica, è significat­iva e variegata, sotto il profilo giuridico, la gestione dei luoghi culturali è caratteriz­zata da alcune peculiarit­à che non vengono adeguatame­nte tenute in consideraz­ione dall’attuale Legislator­e.

Occorre, pertanto, far emergere la consapevol­ezza del peso strategico del settore culturale e, in particolar­e, della rilevanza delle imprese protagonis­te nella gestione dell’offerta del Paese, articoland­o una disciplina normativa specifica per l’impresa culturale che ponga in essere gli strumenti fiscali, amministra­tivi e gli strumenti finanziari a sostegno del settore. La creazione di un Codice che disciplini organicame­nte l’impresa culturale avrebbe la finalità, non già di promuovere l’uniformità nel settore culturale, ma di rendere più agevole, ai soggetti che vi operano, il perseguime­nto dei loro obiettivi istituzion­ali e della sostenibil­ità economico-finanziari­a delle loro iniziative.

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