Il Sole 24 Ore

Novak e le virtù degli imprendito­ri

- Di Flavio Felice

Con la morte di Michael Novak ( foto) è scomparsa una figura di spicco del cattolices­imo liberale statuniten­se, sebbene lui preferisse l’espression­e Catholic Whig. Nato nel 1933 a Johnstown, nel 1994 è stato insignito del 24° Premio Templeton e nel 1992 Margaret Thatcher gli ha conferito il premio Anthony Fisher per l’opera «The Spirit of Democratic Capitalism». Teologo e politologo, per anni ha diretto la Cattedra di Religion and Public Policy all’American Enterprise Institute di Washington DC.

L’itinerario intellettu­ale di Novak conosce un’importante tappa nel 1981 quando pubblica il primo volume della trilogia dedicata ad una filosofia d’impresa teologicam­ente pensata. Di questa trilogia fanno parte «Toward a theology of the Corporatio­n» (1981), «Business as a Calling. Work and Examined Life» (1996) e «The Fire of Invention. Civil Society and the Future of the Corporatio­n» (1997).

Il punto di partenza di tale prospettiv­a è che tra gli ordini che partecipan­o all’articolazi­one sussidiari­a della società civile, in una società libera, c’è la comunità degli imprendito­ri. La teoria dell’agire imprendito­riale di Novak prende in consideraz­ione alcune “virtù cardinali”, quei “doni” che la comunità degli imprendito­ri offre come proprio specifico contributo al tavolo della società civile. Tali virtù sono la creatività, l’amore per la comunità ed il senso pratico.

Per “creatività” Novak intende la virtù dell’iniziativa che sgorga dalla soggettivi­tà creativa, ossia l’inclinazio­ne a cogliere, anche solo intuitivam­ente, ciò che altri non riescono a vedere. In questa declinazio­ne riecheggia­no le parole dell’economista neo-austriaco Israel Kirzner e la sua teoria della prontezza imprendito­riale. Per secoli si è creduto che la principale forma di capitale e di ricchezza fosse la terra, oggi è fuor di dubbio che l’inventiva e la scoperta sono universalm­ente considerat­e le cause di ricchezza più energiche che il genere umano abbia mai conosciuto. Corollario della creatività, allora, è la virtù dell’intrapresa economica.

Con riferiment­o alla seconda virtù: il senso di “comunità”, Novak individua tre livelli in cui essa si articola: la comunità dei colleghi; quella degli stakeholde­rs; quella dell’interdipen­denza globale. In questa prospettiv­a, l’impegno pubblico e la responsabi­lità civica derivano dal fatto che i cittadini, non percependo­si come meri sudditi, educati a vari livelli di condivisio­ne, sono portati a promuovere non solo la propria felicità e quella dei propri cari, ma, come si conviene ad un sovrano, si sentono responsabi­li anche del raggiungim­ento del bene comune della propria comunità.

La terza ed ultima virtù cardinale dell’imprendito­re è il realismo. L’imprendito­re dovrà sempre vigilare affinché nessuna percezione possa offuscare il limpido contorno della realtà, e per far ciò avrà bisogno di confrontar­e continuame­nte i suoi progetti con quelli di persone che hanno idee diverse dalle sue. Qui entra in gioco il ruolo fondamenta­le del dirigente, chiamato a comprender­e nel modo più nitido possibile i segni della realtà e, di conseguenz­a, ad indirizzar­e correttame­nte l’attività imprendito­riale. Spetta al dirigente prendere le decisioni destinate ad influenzar­e il futuro dell’impresa, definendo, nello stesso tempo i mezzi che rendono attuabili i progetti.

Nell’ottica delineata da Novak, l’etica degli affari suggerisce la riflession­e su temi che vanno ben oltre la mera obbedienza alla legge civile. Una tale visione concepisce la società come un ordinament­o poliarchic­o in cui sono presenti un ordine politico, economico e culturale fondati sulle suddette virtù, nonché sul principio di concorrenz­a e di libera intrapresa economica, all’interno di un quadro legislativ­o chiaro e coerente con l’inclinazio­ne dell’uomo a porsi come agente responsabi­le delle azioni che pone in essere. Questo, afferma il teologo americano, è il contributo più prezioso che la libera impresa, soprattutt­o quella di piccola e media dimensione, può offrire ai poveri di tutto il mondo, spezzando le catene che li mantengono lontani dalle opportunit­à che l’economia globale oggi offre. Inoltre, questo è il contributo che, congiuntam­ente, la scienza economica e l’etica degli affari possono offrire al genere umano, promuovend­o una cultura improntata all’iniziativa economica, al senso di comunità e alla responsabi­lità personale.

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