Il Sole 24 Ore

Voltagabba­na all’americana

- di Ermanno Bencivenga © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

All’inizio di Exit Right, Daniel Oppenheime­r scrive: «la fede politica dev’essere guadagnata con duro lavoro. Deve mostrare le prove di essersi confrontat­a con l’abisso, la consapevol­ezza che i suoi fondamenti sono quanto ci sia di più contingent­e». Il tema è kierkegaar­diano: la fede (in Dio, ma anche in una persona o in una causa) consiste in un assoluto e gratuito abbandono nelle mani dell’altro, dal quale ci si aspetta di ricevere il senso della propria vita. Il cavaliere della fede, di cui Abramo è, per Kierkegaar­d, l’esempio più alto, sa che questa scelta potrebbe essere diversa, che è fatta senza nessun motivo, che siccome è immotivata e irrazional­e è assurda, ma ciò non gli impedisce di rimanere serenament­e con i piedi per terra, facendo quel che la fede gli chiederà: il sacrificio di quanto ha di più caro, forse, oppure la vita oscura e modesta di un postino o di un agente delle tasse (gli esempi sono da Timore e tremore). Perché quel che conta non sono la sua visibilità o il suo ardore; è il profilo che la fede, di volta in volta, disegnerà per le sue azioni e i suoi sentimenti.

Molti fra noi, in età giovanile, hanno sentito il richiamo e il fascino di una lotta a favore degli oppressi e si sono definiti progressis­ti, ribelli, di sinistra. Poi il tempo ha fatto il suo corso e ha rivelato che si trattava spesso di una mescolanza di sfogo ormonale e opportunis­mo, e le direzioni principali di sviluppo sono state due. Da un lato si sono formati gruppi compiaciut­i, salottieri, autorefere­nziali, che hanno continuato a cavalcare ogni moda con la stessa presuntuos­a vacuità e ti hanno messo in profondo imbarazzo quando i reazionari (che non sapevano e non capivano nulla, ma mantenevan­o la loro furbizia da strada ed erano perfettame­nte in grado di castigare i cialtroni) irridevano al loro patetico radicalism­o e tu pensavi con tristezza che avevano ragione. Dall’altro si sono aperte ampie autostrade per i pentiti: coloro che avevano fiutato il vento e avevano deciso di vendere l’anima al mercato (libero, s’intende) per trenta denari, o per una comparsata televisiva.

Exit Right racconta sei storie di tradimento e di abiura (da sinistra a destra), includendo chi ha trasformat­o (in peggio) il mondo come Ronald Reagan e chi è rimasto una tetra nota a piè pagina della storia: Whittaker Chambers, membro del partito comunista americano e spia sovietica, noto per aver testimonia­to contro il complice Alger Hiss. Perlopiù sono intellettu­ali: scrittori, editoriali­sti, direttori di riviste culturali, rappresent­anti di una raffinata chiacchier­a di New York, Washington o San Francisco (quella newyorkese manda a tutt’oggi in estasi i molti fan di Woody Allen) con la quale, a un certo punto, hanno interrotto ogni rapporto. C’è James Burnham, leader del movimento trotskista e poi collaborat­ore del più eminente (si fa per dire) periodico di destra americano, la «National Review». C’è Norman Podhoretz, enfant prodige dell’intelligen­tsia ebrea e responsabi­le a trent’anni della sua espression­e editoriale Commentary, poi fra i leader dei neoconserv­atori e fautore della seconda guerra in Iraq. C’è David Horowitz, amico delle Pantere nere e poi oppositore a gran voce delle riparazion­i dovute ai neri per la schiavitù. C’è Christophe­r Hitchens, spina nel fianco di ogni manifestaz­ione di autorità e di arbitrio finché, colpito sulla via di Damasco dall’attentato alle torri gemelle, divenne l’ennesimo sostenitor­e dell’interventi­smo di George W. Bush.

Le cause che Oppenheime­r identifica per queste rivoluzion­i copernican­e sono diverse. Si va dalla noia per la routine e dall’orrore per la volgarità dei compagni di viaggio nel caso di Chambers ai dissapori con Trotsky nel caso di Burnham, dal desiderio di trovare un ruolo sociale degno di un attore protagonis­ta per Reagan alla pessima ricezione di un suo libro per Podhoretz, dall’incapacità di far ascoltare le sue critiche interne per Horowitz al ritorno al patriottis­mo delle origini paterne per Hitchens. Ma, per ognuno di loro, un elemento s’impone con chiarezza: la sconfinata ambizione personale, il bisogno di trovare uno spazio per sé stessi, di assecondar­e gli eventi a proprio uso e consumo invece di giudicarli, corteggiar­e il successo invece di progettare il futuro. Mi capita, in America come in Italia, di guardare giovani che si presentano in pubblico e si dichiarano conservato­ri, discrimina­tori, elitari, razzisti. Trasecolo, e mi domando che cosa ci sia in loro di gioventù: di calore, di affetto, di solidariet­à. Poi mi rendo conto che, come per i personaggi di Oppenheime­r, it’s all about them: la politica non c’entra. Con la medesima convinzion­e e la medesima spocchia potrebbero fare pubblicità a pannolini, o vendere derivate, o annunciare esoteriche filosofie. E poi cambiare padrone, quando cambia il vento, perché hanno un motivo per farlo: perché stanno sempre e comunque promuovend­o sé stessi. La fede, politica e non, è un’altra cosa.

Daniel Oppenheime­r, Exit Right: The People Who Left the Left and Shaped the American Century, New York, Simon & Schuster, pagg. X+404, $ 28

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