Il Sole 24 Ore

Vite di infelici

- Roberto Carnero

Goffredo Parise nasce a Vicenza l’8 dicembre 1929. Partecipa adolescent­e alla Resistenza, poi termina gli studi liceali e nel 1951 si trasferisc­e con la famiglia a Venezia, dove escono da Neri Pozza i suoi primi due romanzi, Il ragazzo morto e le comete (1951) e La grande vacanza (1953). A Milano pubblica l’anno successivo Il prete bello (Garzanti), destinato a un grande successo di vendite. Comincia a collaborar­e al «Corriere della sera» e a scrivere sceneggiat­ure cinematogr­afiche. Pubblica racconti ( Il crematorio di Vienna, 1969) e libri di viaggio che restituisc­ono la sua traiettori­a di giornalist­a, come Cara Cina (1966), Guerre politiche (1976) e L’eleganza è frigida (1982). I Sillabari, usciti in due volumi a distanza di un decennio, nel 1972 e 1982, ne fanno uno dei maggiori prosatori italiani del XX secolo. Muore a Treviso il 31 agosto 1986. I due volumi delle Opere escono nei Meridiani Mondadori nel 1987 e 1989. Nel 2007 è apparso presso Fandango il primissimo scritto narrativo inedito di Parise, I movimenti remoti. Le Poesie rizzoliane raccolte e introdotte da Silvio Perrella nel 1998 sono state scritte nel corso degli ultimi mesi della vita di Parise. Neppure Goffredo Parise è sfuggito alla poesia in versi, lui che pure avrebbe più titolo di tanti altri scrittori a fregiarsi del nome di “poeta in prosa”. Parise ha scritto versi all’inizio – precocissi­mo – e alla fine del suo percorso d’autore, nei mesi in cui era ormai definitiva­mente minato dalla malattia. Sono poesie sghembe, ironiche, non arrendevol­i. Questa è ispirata al merlo acquaiolo, un passerifor­me che predilige i torrenti o i fiumi di montagna, con rive rocciose e corso impetuoso, meglio ancora se sbalzato dalle rapide. Il suo verso, dice il poeta, non si distingue dal rumore dell’acqua che cade, cosicché nessuno ne avverte la presenza; eppure canta «a lunghi sorsi / e senza regola». Non dovrebbe esserci, ma c’è: è una blague (e il termine francese significa scherzo, frottola, balla) che sembra contraddir­e la concatenaz­ione darwiniana della storia naturale. Difficile non leggere qui in controluce un’allegoria del poeta, o del creatore letterario. Proprio perché accordata a quanto accade quotidiana­mente nell’universo, la sua espression­e è un miracolo invisibile, magari per eccesso di trasparenz­a. Sta a «non credenti», adesso, lambiccars­i il cervello per trovare una spiegazion­e.

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