Le rinnovabili nell’era di Trump
Indirizzare la politica energetica di una grande potenza richiede tempi lunghi. Una volta stabilita la direzione da prendere, gli impianti per la produzione di energia non si costruiscono dalla sera alla mattina. Cominciamo adesso a vedere i risultati degli otto anni di costante attenzione alle energie rinnovabili dall’amministrazione Obama, che aveva fatto della causa ambientalista uno dei suoi cavalli di battaglia.
Grazie agli incentivi fiscali concessi agli impianti eolici e solari, uniti agli esempi virtuosi di giganti del consumo energetico pulito, quali Google, Microsoft e Amazon, oggi gli Stati Uniti hanno triplicato la l oro produzione di energie alternative rispetto al 2008.
Intendiamoci, con il 15% di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, gli Stati Uniti sono sempre ampiamente sotto la media mondiale, che si aggira sul 24%, ma solare ed eolico stanno crescendo a passo di carica, con l’eolico che ha recentemente superato la produzione di energia idroelettrica, da sempre la regina delle rinnovabili USA. E il distacco è destinato a crescere.
Infatti, mentre non ci sono piani di costruire altre dighe (semmai si pensa a qualche dismissione), le Wind Farm nascono come funghi sia negli stati costieri, che sfruttano la conformazione dei fondali per impianti offshore, sia in quelli interni che non hanno petrolio, ma possono offrire vento a volontà. Anche negli stati ricchi di petroli, come il Texas, le pale eoliche prosperano convivendo felicemente con i pozzi petroliferi.
Grazie al boom delle rinnovabili, nel 2016 la produzione di gas serra in USA è stata la più bassa degli ultimi 25 anni. Un risultato importante che potrebbe fare ben sperare nella possibilità di limitare l’emissione dei gas responsabili del riscaldamento globale, come richiesto dagli accordi di Parigi. Tuttavia, davanti ad una nuova amministrazione, sicuramente meno attenta alle problematiche del riscaldamento globale, sono in molti a chiedersi cosa succederà di questa storia di successo.
È un fatto che la crescita delle rinnovabili sia avvenuta a scapito del carbone, così caro al cuore del nuovo Presidente. Cosa potrebbe succedere adesso? Tutti gli analisti pensano che sarà il mercato a decidere sul futuro della politica energetica USA. Vincerà sicuramente l’energia offerta al consumatore al prezzo più competitivo.
Fino ad ora, il criterio economico aveva sempre favorito i combustibili fossili, ma il panorama sta cambiando. I continui miglioramenti tecnologici hanno aumentato l’efficienza degli impianti solari ed eolici, facendo abbassare il costo dell’energia prodotta che, anche in caso di cancellazione dei benefici fiscali, potrebbe rimanere competitiva.
C’è poi da considerare la quantità di posti di lavoro creati dalle rinnovabili. La produzione di energia solare impiega più personale di quello coinvolto nella produzione di energia elettrica da carbone, gas e petrolio, messi insieme. I dati pubblicati dal dipartimento dell’Energia (DoE) dicono che i lavoratori dell’eolico (oltre 100.000 persone) sono cresciti del 32% dal 2015 ad oggi, e le proiezioni assicurano che non si tratta di un fenomeno passeggero.
Secondo il Dipartimento del lavoro la domanda di tecnici nel settore eolico sarà quella che aumenterà di più nel corso della prossima decade. In altre parole, se volete essere sicuri di trovare lavoro, studiate l’eolico e preparatevi nella professione che tira di più. E’ la capacità di creare lavoro la vera assicurazione per il futuro delle rinnovabili in USA. Può un Presidente così focalizzato alla difesa dei posti di lavoro arrecare volutamente danno ad un settore in così netta crescita?
Le energie rinnovabili, inoltre, godono anche del favore del pubblico che è sempre più attento alla sorgente dell’energia che utilizza. Chi è sensibile al tema dell’inquinamento e investe in un’auto elettrica vuole essere sicuro che la batteria venga caricata con energia pulita. Le rinnovabili corrono e sarà il loro potenziale di crescita e la loro competitività a proteggerle.