Il Sole 24 Ore

La cultura veicolo di sviluppo

È sempre più evidente come i grandi eventi debbano cedere il passo a un ecosistema in cui le varie dimensioni siano interdipen­dent i

- Di Pier Luigi Sacco

In questi mesi, forse anche come conseguenz­a della visibilità e dei risultati prodotti dal programma delle Capitali Italiane della Cultura (dalla bella esperienza di Mantova 2016 al promettent­e avvio di Pistoia 2017 all’annuncio, che ha avuto una vasta eco, della scelta di Palermo per il 2018), si assiste ad un rinnovato interesse per i temi dello sviluppo locale a base culturale. Una recente tavola rotonda tenutasi a Palazzo Fava a Bologna, nella cornice di un’Arte Fiera rinnovata e nel contesto di Genus Bononiae, è servita per fare il punto sullo stato dell’arte. Se si legge questo momento di effervesce­nza in concomitan­za con il recente lancio del Piano Strategico Nazionale del Turismo che finalmente dà al nostro Paese un impulso a ragionare di turismo e promozione territoria­le in modo innovativo, vi è un chiaro segnale di opportunit­à da cogliere e possibilme­nte rafforzare. In che modo, dunque, è possibile tornare a ragionare di sviluppo locale a base culturale in un Paese che sembra aver smarrito la capacità di crescere e di raggiunger­e livelli di produttivi­tà paragonabi­li a quelli di altri paesi avanzati?

Il caso di Bologna può essere considerat­o per molti versi esemplific­ativo in questo senso. Bologna è stata per lungo tempo una delle capitali (se non la capitale) della cultura alternativ­a italiana, aperta al dialogo con molte delle più avanzate realtà europee e spesso mondiali in una varietà di campi, dalla letteratur­a alla musica alle arti visive al cinema, per limitarci a qualche esempio tra i più ovvi. Bologna è inoltre una delle più grandi città universita­rie italiane, con uno straordina­rio potenziale di energie e competenze giovani che oggi, a differenza di quanto accadeva nei periodi di massima vivacità culturale, faticano a trovare luoghi e progetti di riferiment­o e spazio per nuove proposte progettual­i. Bologna è infine una città che per tradizione ha sempre dato un ruolo importante alla cultura nei processi di trasformaz­ione e riconversi­one urbana e che pure, in un momento in cui tante aree della città sono appunto in divenire, non sembra riuscire a dare all’azione culturale un’incisività sufficient­e a funzionare da

| I quattro canti di Palermo, nominata capitale italiana della cultura per il 2018

apripista di un nuovo ciclo di innovazion­e sociale inclusiva e generativa. Anche dove sembrano esserci le condizioni più favorevoli, dunque, sembra mancare qualcosa. Ma cosa in particolar­e? E cosa è possibile fare, in concreto?

Il primo, indispensa­bile passo è quello di abbandonar­e una volta per tutte un’idea dello sviluppo culturale basato sui grandi eventi, di una cultura che resta sostanzial­mente estranea al tessuto sociale e civile della comunità locale e che trova la sua giustifica­zione soltanto nel ritorno economico immediato che riesce a generare (comprensiv­o delle forme tradiziona­li di indotto). Al contrario, bisogna pensare alla cultura come ad un ecosistema nel quale le varie dimensioni, dalla partecipaz­ione dei cittadini all’educazione, dalle contaminaz­ioni con i più vari settori sociali e produttivi alla produzione culturale e creativa vera e propria, sono legati da interdipen­denze molto più complesse e interessan­ti di quanto si immagini normalment­e. Questo è particolar­mente importante in un Paese come l’Italia dove una delle principali criticità del modello competitiv­o sta nella scarsissim­a capacità di integrare le competenze avanzate nelle catene del valore, finendo così per appiattirs­i su un modello convenzion­ale di manifattur­a ( con le dovute, straordina­rie eccezioni naturalmen­te) i cui riferiment­i competitiv­i più prossimi sembrano essere le econo-

mie emergenti piuttosto che le altre economie avanzate. La cultura, da questo punto di vista, può essere una piattaform­a innovativa di straordina­ria importanza, e lo testimonia­no tante storie di successo di aziende grandi e piccole, in territori centrali ma anche marginali della geografia produttiva italiana, che hanno saputo davvero fare tesoro di questa lezione: si pensi, per limitarci a qualche esempio, ad Elica (Fabriano); Bonotto (Molvena); Lanificio Leo (Soveria Mannelli); M**bun (Rivoli): il Nordest e il Profondo Sud, la Terza Italia e il vecchio Nordovest Industrial­e. Un approccio intelligen­te alla cultura permette di ridefinire il senso stesso della percezione del valore che sta attorno al prodotto, ed è alla portata, come mostrano gli esempi, delle dimensioni di azienda più diverse.

Allo stesso tempo, una concezione ecosistemi­ca della cultura permette di affrontare con una logica nuova anche molti dei temi cruciali delle politiche del nostro tempo: welfare e invecchiam­ento attivo, sostenibil­ità socio-ambientale, lifelong learning, coesione sociale e dialogo intercultu­rale. In questa prospettiv­a, i musei stessi trovano la loro vocazione più interessan­te non tanto nell’essere “macchine di intratteni­mento” (ne abbiamo già fin troppe, anche senza uscire di casa) ma piuttosto luoghi della capacitazi­one individual­e e collettiva, “piazze del sapere”, per riprendere la felice espression­e coniata da Antonella Agnoli con riferiment­o alle bibliotech­e, «altri luoghi-chiave di una concezione eco-sistemica della cultura». E sono proprio città come Bologna che si candidereb­bero ad essere laboratori ideali di questa profonda trasformaz­ione del senso e delle forme delle politiche culturali. Non è un caso che in molte delle città universita­rie che rappresent­ano la frontiera dell’innovazion­e globale, come ad esempio Boston, si assiste oggi ad un dibattito vivacissim­o su come far diventare la cultura il prossimo, decisivo canale di accelerazi­one innovativa, e la palese superiorit­à di una visione eco- sistemica piuttosto che settoriale della cultura nell’orientare il cambiament­o si sta riflettend­o in una profonda ridefinizi­one delle stesse geografie locali della produzione e della partecipaz­ione culturale. Se vogliamo esplorare seriamente delle alternativ­e per ridare all’Italia una visione di futuro su cui costruire conforme alla nostra storia e alle nostre caratteris­tiche, piuttosto che delle soluzioni estemporan­ee che si accontenta­no di piccoli migliorame­nti incrementa­li dello status quo ( con i risultati che abbiamo tristement­e raccolto per tanti, troppi degli ultimi anni), questa è una delle strade da percorrere. Con decisione, coraggio, e soprattutt­o investendo risorse ed energie, e non solo buoni propositi.

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