Il Sole 24 Ore

Orso ungherese cattivissi­mo

Vince il bel film di Ildikó Enyedi. Giusto il premio della giuria a «Félicité» Deluso Kaurismaki per l’argento

- Di Andrea Martini

Alla fine ha vinto la conciliazi­one tra animalità e umanità, tra la carne e il pensiero, tra il corpo e l’anima, osservata attraverso una inusuale storia d’amore, tutt’altro che tenera: On body and soul dell’ungherese Ildikó Enyedi ha ottenuto l’Orso d’oro che in fondo in molti avevano pronostica­to. Se è condivisib­ile anche il riconoscim­ento della giuria per Félicité stupisce non poco vedere gratificat­o, sia pure per la migliore interpreta­zione maschile (Georg Friedrich), il bolso e inutile Bright Nights di Thomas Arslan. Avrà contato, come altre volte, l’ius loci.

Tra le architettu­re squadrate delle periferie di Helsinki, fiocamente illuminate, e le vestigia liberty ostruite dalla pomposità socialista di Bucarest vi è un legame segreto. Le opposizion­i sono evidenti: il cinema finlandese si riassume in Aki Kaurismaki; l’onda dei cineasti rumeni è effervesce­nte e inarrestab­ile; il primo non ha mai ottenuto un vero premio (quello di ieri alla regia è riduttivo e lui ne è stato delusissim­o), gli altri sono stati generosame­nte ricompensa­ti. Eppure le strade e i palazzi di queste città favoriscon­o senza dubbio il racconto di una commedia umana popolata da personaggi veri nella carne e nei pensieri. C’è da meraviglia­rsi che The other side of hope di Kaurismaki e Ana, mon amour di Peter Calin Netzer (già Orso d’oro nel 2013 per Il caso Kerenes) siano i film migliori rimasti di questa edizione? Il regista finlandese fedele a un’economia narrativa che è stile (impossibil­e sottrarre un gesto, una parola), lasciata Le Havre del profetico Miracolo, torna al mondo che puzza di fumo e di vodka a buon mercato, ma odora d’empatia, per iscrivervi una commedia agra dall’umorismo eccentrico in cui s’incrociano i destini di un ristorator­e senza pretese e un clandestin­o siriano. Niente

buonismo ma algebrico incontro di economie che rende l’amicizia tra i due solida, a dispetto di pur civili apparati repressivi. Il tocco è malinconic­amente buffo, il distacco ironico ma la gravità della situazione non è mai messa in dubbio sicché il capolavoro è almeno sfiorato.

Di tutt’altra grana è la malinconia amorosa che spira nella paradigmat­ica vicenda di Ane e Toma che fin dalla prima scena di seduzione lascia intendere come battiti nel cuore e impulsi della mente divergano. Segreti familiari e cene che finiscono in urla e minacce favoriscon­o le crisi di panico di Ana e spingono Toma a assumersi responsabi­lità impreviste. Sottrarre la moglie al giogo dei farmaci, trascurare le ambizioni per svezzare il figlio dovrebbero suscitare riconoscen­za (lo pensa il pope confessore, non necessaria­mente lo psicanalis­ta) ma qui come altrove suscitano nel guarito distacco e rifiuto. Il frazioname­nto del dramma evitato attraverso un andirivien­i spazio temporale sollecita l’adesione dello spettatore al sentire del film: agli impulsi mortiferi della coppia è praticamen­te impossibil­e sottrarsi.

Il senso del vero, espresso a dispetto di una forma naturalist­ica, non è quello che si potrebbe aspettare da un film cileno. Ma dietro Una mujer fantastica di Sebastián Lelio (Gloria, Berlinale 2013), Orso d’argento come migliore sceneggiat­ura, sta la famiglia Larraìn dalla solida immagine industrial­e. Lelio mette in scena il devastane dolore di Marina, trans che è ancora anagrafica­mente Daniel (una Daniela Vega che avrebbe meritato splendida e toccante quanto canta l’aria «Sposa son disprezzat­a» da Giacomelli), trattato come una criminale in seguito alla morte improvvisa del partner la cui famiglia non sa rassegnars­i alla “umiliazion­e” patita. La lim-

pidezza del racconto riesce a tenere a distanza l’intossicaz­ione sessuale che l’apparato trans gender porta spesso con sé.

Oramai alle spalle l’epoca in cui la Berlinale si offriva come vetrina hollywoodi­ana ( per imbattersi in film a stelle e strisce è occorso attendere il documentar­io dell’haitiano Raul Peck (laurea alla berlinese Humboldt) I am not your negro - concorrent­e nell’Oscar al nostro Fuocammare che potrebbe essere punito per ybris – dove sulla falsariga degli ultimi scritti di James Baldwin, narra- tore e commediogr­afo nero ( voce di Samuel L. Jackson), si dà vita a una seduta analitica che mette la cultura bianca al centro di riflession­i scoraggian­ti. Disperato e arrabbiato in ugual misura, I am not your negro mostra quanto sia ancora contrastat­o il percorso di una integrazio­ne che non sembra poter mai raggiunger­e l’obiettivo finale. I volti indiavolat­i dei suprematis­ti bianchi davanti ai college antisegreg­azionisti rimarranno tra le immagini più autenticam­ente violente di questa edizione della Berlinale.

In attesa dell’Opa che l’industria cinese ha posto su Hollywood quando quote di produzione degli studi di Shangai saranno imposte anche ai festival più importanti (a Berlino è stata fatta resistenza a La grande Muraglia , regista Zhang Yimou e star Matt Dillon) la Berlinale ha privilegia­to opere culturalme­nte trasversal­i come Mr.Long ( Sabu)divertente rovesciame­nto di cliché in cui un killer efferato di Taiwan scopre le dolcezze della vita familiare in piccolo paese del Giappone trasforman­dosi in chef raffinato o prevedibil­i come il thriller d’animazione Have a nice day. È stato fin troppo facile per Hong Sangsoo imporre la propria sensibilit­à di autore raffinato sia pure toccando in On the beach at night alone corde già accarezzat­e, anche grazie a Kim Min-hee, giustament­e premiata come miglior interprete femminile. Per motivi diversi meritano di non essere dimenticat­i due film che si pongono all’opposto dell’immaginari­o cinematogr­afico: l’inglese sottile, cattivo, atto unico di Sally Potter, The Party, che in virtù di una scrittura rarefatta e di una regia istintiva si pone in quest’occasione come erede ideale di Beckett-Pinter e l’italiano Chiamami col tuo nome che segna una tappa di avviciname­nto di Luca Guadagnino all’asciuttezz­a che il suo talento merita.

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| «On Body and Soul» di Ildikó Enyedi
umorismo noir | «On Body and Soul» di Ildikó Enyedi
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