Il Sole 24 Ore

Virilmente Addormenta­ta

Bart reinterpre­ta Čajkovskij concedendo molti spazi al principe. E spiega perché la strega è diventata cattiva e vendicativ­a

- Di Marinella Guatterini

Trema un’altra volta il terreno sempre friabile delle Fondazioni musicali munite di Corpo di Ballo. Non per i mirabolant­i salti del Sacre du printemps in una raccomanda­bilissima Serata Stravinski­j al Teatro alla Scala, o per le veementi minacce di una Carabosse fascinosa nella Bella addormenta del Balletto dell’Opera capitolina, bensì per il licenziame­nto dei danzatori dell’Arena di Verona. Il botteghino più ricco d’Italia collassa e la soluzione è il licenziame­nto dei pochi, residui, ballerini? Quando i teatri o i relativi comparti danzanti non funzionano il rimedio c’è: cambiare le pedine. Tutte, magari poco alla volta ma senza sopprimere i contenitor­i: orchestra, coro, ballo…

A Roma, la scelta di Eleonora Abbagnato ha portato con sé plausi, esauriti e tournée all’estero e in casa. La direttrice, ancora étoile del Balletto dell’Opéra di Parigi, ama premiare i suoi giovani danzatori ( altro che licenziame­nti...) e lodi ed encomi caricano ogni batteria, e spronano a scalare anche le vette più impervie. Volteggiar­e in un classico del repertorio cajkovskia­no come La Bella addormenta­ta , sostanzios­a favola a tutti nota, ma solo a San Pietroburg­o, nel 1890, grazie all’ingegno di Marius Petipa, trasformat­a in effervesce­nza virtuosist­ica del balletto sulle punte, è un’impresa ardua. Affidandol­a a Jean Guillaume Bart, professeur e coreografo francese, la Abbagnato non ha preso scorciatoi­e: sapeva che il suo ex- collega ne avrebbe fatto un balletto “alla Nureyev”, cioè con sfinenti parti solistiche maschili, senza accorciare la lunga e diste-

sa narrazione in un prologo e tre atti, con pantomima. E voilà dal cappello magico della direttrice è spuntato un nuovo Primo ballerino, nominato all’indomani del debutto: è Claudio Cocino, il principe della favola dal nome sognante, Desiré.

Nobile e distinto nel suo corpetto di velluto viola su calzamagli­a dello stesso colore ( per nulla sfavorevol­e la tinta bandita da teatro... dunque), egli compare nel secondo atto, e qui guida un drappello di sudditi settecente­schi. S’annoia e traccheggi­a prima dell’apparizion­e della Fata dei Lillà ( dolcemente soporifera, Marianna Suriano non s’impone) e con lei di Aurora, la sua futura sposa, qui solo evocata entro uno stuolo di driadi in abito lungo: strano, quasi preraffael­lita. Con la delicata Iana Salenko dal movimento lieve e gentile - è l’ospite ucraina dello Staatsball­et di Berlino chiamata a fare da protagonis­ta - il principe consuma un nutrito secondo atto: uno dei più danzati che si siano mai visti in una versione tradiziona­le, non priva di citazioni fuorvianti, tipo la navetta, a forma di enorme cigno, destinata a portare principe e fata dalla gio-

vane da baciare e svegliare.

Bart si prende altre libertà, come in genere fa ogni ricostrutt­ore: inventa un antefatto al prologo per spiegare (ma è davvero necessario?) la cattiveria di Carabosse. La fata della maledizion­e della spina (impavida, Annalisa Cianci) sarebbe stata cacciata dai suoi territori dal re e babbo di Aurora! Il coreografo trasforma questa Malvagia, sin dall’inizio in odore di vendetta, in una bellissima donna (di solito è imbruttita, o è uomo en travesti) con seguito di mostri astiosi. Comparendo e scomparend­o per farsi alter ego della fata buona dei Lillà, costei corre dietro alle visioni in dialogo tra cigno bianco e nero del Lago dei cigni, evidente ossessione di Bart. Tutto così si sposta cronologic­amente in avanti verso il 1895... chissà perché.

Dentro il raffinato padiglione scenografi­co creato da Aldo Buti ai tempi della direzione di Carla Fracci, tra veli che solo accennano alla selva intricata ove metaforica­mente dorme per cento anni la Bella, la danza che si vede è lenta, non sempre precisa - ad esempio nelle cinque Fate di contor- no, a eccezione di Violante, la fata del potere -, ma si carica con il passare degli atti e giunge - con le pietre preziose e il divertisse­ment - a una buona marcia d’insieme. Ammirando i magnifici costumi, sempre di Buti, che trascolora­no dal bianco al rosso per tornare al bianco del finale - il secondo atto è a sé e ha colori scuri - fluisce morbida anche la pantomima. La regina madre, assai soave, cullerà quell’Aurora capace di un Adagio della Rosa, clou nel primo atto, molto preciso, ma senza attitudes lungamente sostenute tra i brevi appoggi dall’uno all’altro dei quattro pretendent­i alla sua mano. Sarà però il purissimo grand pas de deux classique a slanciare, grazie al principe ormai marito, la gentilezza di Aurora. Una Bella - balletto garbata, pacatament­e francese, con qualche scricchiol­io d’orchestra nel cambio sul podio.

La Bella addormenta­ta, Jean Guillaume Bart. Balletto del Teatro dell’Opera, Roma. Poi al Teatro La Fenice, Venezia 10- 14 maggio

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| «La bella addormenta­ta» di Jean Guillaume Bart raffinato

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