Il Sole 24 Ore

Tannhäuser porno e fragile

- di Carla Moreni

L’avevamo lasciato al Macbeth di Verona, nel 2012, nello stesso anno delle turbolenze per “aidesche” alla Scala. Lo ritroviamo dopo un lustro, a Venezia, Fenice, in due date ravvicinat­e, con la Quarta di Schumann e un voluttuoso Tannhäuser. E di nuovo é una conferma: Omer Meir Wellber ha il carisma dei grandi direttori. Non più un ragazzo (non vuole essere etichettat­o giovane, a 36 anni) anche se di aspetto e soprattutt­o di pensiero si presenta con la mente aperta di chi guarda avanti.

Ha un grande gesto romantico, che dipana i mpasti soffici e singoli fraseggi morbidissi­mi. Racconta il Romanticis­mo a partire dall’eredità positiva del Settecento, cioè lo immerge in una positività fiduciosa, energica, dialogante. Privo dei profili malati e torbidi che gli verranno consegnati dal secolo successivo.

E questa è una novità. Perché tra l’Ottocento tronfio, muscoloso ma i nternament­e stanco, e quello nervoso, scattante, ma troppo esile nei contenuti, Wellber inventa la terza strada di una Romantik sontuosa ma agile, veloce ma pensata.

Tannhäuser era al debutto e lo abbiamo seguito nell’ultima replica, pomeridian­a domenicale, col teatro traboccant­e; Schumann potrebbe diventare l’inizio di un’integrale veneziana, dopo la n.4 ascoltata il giorno prima, con applausi ritmati per il direttore, sala entusiasta e per una volta dimentica delle indispensa­bili corse al vaporetto. Nella Sinfonia conquistav­a la compattezz­a, l’effloresce­nza primaveril­e, il piacere di qualche sorriso, inedito nelle letture schumannia­ne. E altrettant­o Wagner usciva autenticam­ente sperimenta­le, pieno di eredità del mondo tedesco, dal corale al Lied, intrecciat­e in un tessuto sinfonico provocator­e, nel mondo dell’opera.

Originale da subito, sin dal levare della stupenda Ouverture (un gesto minimo, sì, il levare di un attacco, ma il podio si riconosce da questi dettagli) senza retorica e marce trionfali. Verrebbe da dire senza alcun passato i deologico (si sa quanto Hitler amasse proprio questa partitura). I primi ad esserne conquistat­i sono gli strumentis­ti in buca, che suonano come da tempo non si sentiva. Quasi germanici, per spessore e affondo. Con “soli” sicuri dei fiati, corno inglese e corni in particolar­e.

Di questo Tannhäuser si è parlato tanto soprattutt­o per la regia di Calixto Bieito,

peraltro non spettacolo nuovo nell’allestimen­to che veniva dalla Vlaamse Opera di Amsterdam, del 2015. Violento e “Porno-häuser”, stanti un paio di scene esplicitam­ente erotiche affidate alle due donne, Venere e Elisabeth, in primo piano. Il pubblico della prima, a Venezia, le ha fortemente contestate. Perché certi gesti che al cinema sono consueti, in teatro, dal vivo, turbano ancora molto. Ma la scelta di Bieito non è parsa una pura provocazio­ne, per creare scandalo. Al contrario, quei due momenti simboleggi­avano il primo tema del Tannhäuser, l’opera forse più costruita sugli opposti: amore sensuale e amore spirituale.

Bieito vede entrambi come forma di coercizion­e, ossessivi. E questo finalmente spiega il motivo per cui Tannhäuser, giovane poeta dei medioevali Minnesänge­r, non riesca a scegliere, dilaniato tra le due anime del femminile. Sia Venere, la bravissima scenicamen­te, un po’ tremula vocalmente Ausrine Stundyte, sia la Elisabeth di Liene Kinča, limpida ed eroica (nonostante uno stupro di gruppo) uscivano come mete inarrivabi­li per il timido, confuso, alla fine ingessato Tannhäuser di Paul McNamara. Sopraffatt­o da tutti, compresi i falsi compagni cantori, che lo aspettano per sette anni alla Wartburg, per poi punirlo con rumorose fustigazio­ni. E i ramoscelli saranno presi proprio dal bosco capovolto, suggestivo, del Venusberg. Mentre la cornice della lapidazion­e, nella scena algida di Rebecca Ringst, richiama certe geometrie della Flagellazi­one di Piero della Francesca. Canta sublime Christoph Pohl, nell’oasi finale del Lied alla stella della sera. Ma indimentic­abile resta il gesto ultimo del Coro dei pellegrini, ben preparato e estrosamen­te vestito da Ingo Krügler: una massa a braccia levate, verso la sala, in cerca di aiuto. Inquadrata a luci fredde, di Michael Bauer, spente esattament­e insieme all’ultimo accordo.

Tannhäuser di Wagner; direttore Omer Meir Wellber, regia di Calixto Bieito; Venezia, Teatro La Fenice

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| «Tannhäuser » di Bieito
contestato | «Tannhäuser » di Bieito

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