La latitudine della ’nduia
La dimensione antropologica del cibo nell’ultimo libro di Carmine Abate dedicato ai luoghi e ai sapori dell’anima
Le colline di Carfizi, in quella Calabria crotonese, paese dell’anima e luogo letterario a cui Carmine Abate ci ha abituati con le sue storie di famiglie e di emigrazione, sono di sicuro gialle per l’autunno, eppure non perdono la loro poesia nemmeno in questa stagione. Anzi sembrano verdeggiare, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe perché continuano ad apparire, in quel loro dividersi tra lo Jonio e l’Appennino, tra una cultura che privilegia l’orizzontalità del mare e una cultura che si affida ai contrafforti interni, un magazzino di memorie cresciute nel tempo, un paradiso di parole estratte a sorte dalle case, dai terreni, dai boschi, dalle spiagge.
Nessuna narrativa può sorgere da un deserto scolorito e senza sapore, anche quella meno impregnata di geografia e qui, dalle parti dove è cominciata l’affascinante avventura letteraria di Abate, ogni azione, ogni suono, ogni emozione suggerisce sempre il sostegno di una pietanza. Il cibo non è soltanto benzina da mettere nel motore del corpo umano: è il suggello di una festa, è la celebrazione di un rito che chiede le sue liturgie e anche i suoi sacerdoti. Proviamo a pensare come sarebbe stata la scrittura di Marcel Proust se non avesse intinto la sua madeleine nel the della zia. O se, più indietro ancora, se Renzo Tramaglino non avesse ricevuto il pane del perdono dalle mani di fra Cristoforo. Avrà mangiato quel pane? E il piccolo Marcel avrebbe scritto la Recherche senza il sapore del biscotto?
Adesso proviamo a chiederci se Abate non avesse incontrato sulla sua strada di scrittore il « cuoco d’Arbërìa » : un omone di Carfizi che torna ad affacciarsi qua e là dentro Il banchetto di nozze e altri sapori ed è co-
| «Uomo che mangia gli spaghetti» di Renato Guttuso., 1956
me un sacerdote di una religione pagana, mezzo filosofo e mezzo menestrello, che dirige un’orchestra tutta particolare, fatta di pentole e coltelli, di shtrydhëlat ( « una pasta fatta in casa e condita con fagioli bianchi, olio, aglio e peperoncino » ) e sarde salate, e che finisce, come è stato all’inizio della storia letteraria di Abate, in un grande, ritmato “ballo tondo”.
La forza di questo libro - uno dei punti di forza, ce ne sono altri - risiede nella dimensione antropologica che il cibo svolge dentro e fuori la comunità di Carfizi. È un dizionario in cui riconoscere la propria identità, dunque è una sorta di carta d’identità; ma è anche un manuale di storia ( molte pietanze provengono da un mondo anteriore: quello degli antenati arbëreschë, arrivati nel Quattrocento sulle sponde dell’Italia meridionale per sfuggire alla persecuzione ot-
tomana) o un atlante geografico dal profilo variabile, dove ai cibi di una terra si aggiungono cibi di altre terre.
Il lettore che volesse divertirsi a seguire le orme di questo vademecum dovrebbe lasciare la zona dove si situa il paese di Hora (il topos archetipo di tutti i paesi narrati da Abate) e partire alla volta della Germania, nelle città di Amburgo e di Colonia, e poi scendere in Trentino, dalle parti di Besenello, in quelle valli geometriche per i filari d’uva e alberi da frutta, a metà strada fra un Sud mediterraneo e un Nord di nebbiose solitudini, dove il cibo diventa memoria e nostalgia, aria di casa, sentimento di convivialità.
Abate da sempre lavora per addizioni (lo dice anche il titolo di un libro di racconti), coniuga il verbo dell’appartenenza con il vocabolario della curiosità. E il lettore non farà fatica a riconoscere quelle mescolanze che sono dentro il suo idioma dialettale e germanese, lingua metà calabro-italiana e metà di emigrazione, e che poi si ritrovano pari pari anche nel racconto di queste pietanze, come i canederli al peperoncino o la polenta con ’nduja. Quasi a dire che le latitudini del cuore si uniscono intorno a un bicchiere di vino o a un piatto colmo di nostalgia. Come in ogni tradizione che ha i suoi legami con il mondo religioso, il cibo fa da collante tra gli uomini, diventa memoria nel momento in cui si ammanta di speranza, coniuga il tempo di ieri con il tempo di domani.
Carmine Abate, Il banchetto di nozze e altri sapori, Mondadori, Milano, pagg. 166, € 15