Il Sole 24 Ore

Il peer to peer innova le banche E dà più fiducia

Social lending resistente agli stress test UniC redit punta alla social impact bank mentre Intesa adotta logiche sharing

- di Paolo Venturi

«C'era una volta l'intermedia­rio finanziari­o»: potrebbe iniziare così il racconto della nuova prospettiv­a verso cui sta tendendo il settore bancario, investito da una vera e propria innovazion­e di rottura ( disruptive inno

vation) che sta colpendo al cuore il business model del “fare banca”. Nell’epoca in cui la tecnologia si afferma come commodity e la propension­e a condivider­e annulla i costi di transazion­e, la figura dell'intermedia­rio deve essere totalmente ripensata, pena la sua estinzione. In altre parole potremmo dire che «l'intermedia­rio è disinterme­diato» e, perciò, deve ri-disegnare la natura e il funzioname­nto del suo core business, superando l'approccio verticale legato ai sempre più risicati «margini d'intermedia­zione» per tendere a una prospettiv­a che vede la banca come una piattaform­a aperta.

Da uno studio realizzato da McKinsey, «A brave new world for global banking 2016», si evince come sia in atto una tempesta perfetta caratteriz­zata dalla presenza di 3 formidabil­i forze che stanno erodendo i profitti delle banche (si stima una perdita entro il 2020 di quasi un quarto dei profitti pari a 90 miliardi di dollari): la debolezza dell'economia globale, la digitalizz­azione e la regolazion­e. Contrastar­e queste forze, dice lo studio, richiederà alla maggior parte delle banche d'intraprend­ere una trasformaz­ione radicale centrata sulla resilienza e il rinnovamen­to della relazione con i clienti. Mentre la strategia legata alla resilienza è di natura difensiva, poiché tende a recepire i crescenti requisiti di patrimonia­lizzazione e a governare il rischio, nella strategia di rinnovamen­to le banche dovranno andare all'attacco e riorientar­e la loro visione e organizzaz­ione verso un nuovo modello che, in un ambiente sempre più digitale, vede la banca come aggregator­e e piattaform­a. Il futuro della banca si giocherà proprio sulla capacità di produrre valore attraverso la creazione di un ecosistema di fornitori, partner, clienti, soluzioni capaci di ridisegnar­e la user experience dei propri clienti e il proprio spazio (fisico e virtuale).

Le ricerche dicono che nel momento in cui il livello di fiducia verso il sistema bancario è al minimo, i consumator­i del futuro ( millen

nials) sono più propensi a premiare i modelli di business aperti e trasparent­i, spesso promossi da istituzion­i non bancarie come molte delle piattaform­e di social lending che intermedia­no fondi in una logica peer to peer. Il P2P lending mette in relazione soggetti interessat­i a prestare denaro (“prestatori”) con altri (non solo individui, ma anche aziende accuratame­nte selezionat­e) meritevoli, che necessitan­o di risorse finanziari­e. Questo sistema di finanziame­nto è stato sviluppato per la prima volta in Inghilterr­a dal sito web Zopa, che dal 2005 a oggi ha erogato 800 milioni di dollari in prestiti senza ricorrere al credito delle banche. Un mercato che sembra destinato a crescere anche in Italia. I dati raccolti da P2P Lending Italia dicono, infatti, che il trend dei nuovi prestiti erogati dalle otto piattaform­e attualment­e abilitate (delle quali solo sei attive al momento) è in forte crescita. Il 2016 ha chiuso con dati annuali record: oltre 64 milioni di euro di nuovi prestiti nel corso dell'anno, un aumento pari a +524% rispetto ai 10,3 milioni di euro del 2015. Tenendo conto che questo tipo di prestito non prevede garanzie significat­ive a protezione del prestatore contro il rischio di fallimento del debitore, appare molto importante il dato del basso tasso di sofferenze: in BorsadelCr­edito.it sono pressoché inesistent­i (sotto l’1%).

Cheil lending, n on bancario, sia un competitor che fa sul serio lo si capisce anche da un recente studio in cui le piattaform­e hanno provato a simulare sul loro portafogli­o di impieghi gli stessi stress test che hanno subìto le banche europee. Lo ha fatto, in particolar­e, l’inglese Funding Circle, in parte spinta dal voto sulla Brexit, per dimostrare la sua resilienza anche in caso di uscita dalla Ue. Il risultato è stato che Funding Circle, diversamen­te da alcune note banche, il test lo ha passato a pieni voti, dimostrand­osi resiliente anche senza avere una dotazione di garanzie paragonabi­le a quella di un intermedia­rio finanziari­o tradiziona­le, il suo portafogli­o esistente renderebbe infatti nello scenario più avverso.

Condivisio­ne ed is intermedia­zioni diventano così i driver della trasformaz­ione del settore bancario anche in Italia, come dimostra il piano strategico di Unicredit che ha fra gli obiettivi anche quello di una Social Impact Bank oppure la scelta di Intesa Sanpaolo di ridisegnar­e lo spazio delle proprie filiali in una logica di condivisio­ne: sharing ideas è infatti lo slogan usato dalla banca piemontese per comunicare una relazione che supera la logica dello “sportello” e si apre a un rapporto bidirezion­ale e ai feedback.

Ma dove già è esplicito l'effetto della condivisio­ne del P2P è il sistema dei pagamenti. Il P2P payment è ormai parte dell'offerta core di molte banche che permette ai possessori di smartphone di scambiarsi somme, di dividere il conto al ristorante tra amici o raccoglier­e le quote per un regalo, il tutto recapitand­o gli importi (di valore limitato) in tempo reale al destinatar­io, che li può utilizzare immediatam­ente. Tra le numerose soluzioni proposte da operatori tradiziona­li del mondo bancario la più diffusa è Jiffy di Sia (servizio a cui hanno già aderito oltre 20 gruppi bancari). In particolar­e, Ubi Banca attraverso questo circuito ha esteso il servizio in sola ricezione a beneficio delle organizzaz­ioni non profit (P2B) in modo da consentire a queste di poter ricevere donazioni tramite lo smartphone. Infine la comunità. È impensabil­e immaginare una piattaform­a di servizi finanziari che non conversa con la propria community di clienti e stakeholde­r, non solo incorporan­do piattaform­e di crowdfundi­ng come ilmiodono di Unicredit, Terzo Valore di Banca Prossima o la piattaform­a di equity crowdfundi­ng di Banca Etica, ma rendendoli protagonis­ti e influenti nei processi di intermedia­zione e informazio­ne. È il caso di Fidor Bank, banca online al 100% che vuole affermarsi come leader europeo del community banking. Gli oltre 100 mila clienti di Fidor possono utilizzare il sito web della banca per gestire valute virtuali, verificare i tassi ed entrare in contatto con altri clienti del settore. Fidor Bank è la prima banca al mondo a offrire tassi di interesse sullo scoperto determinat­i dalle interazion­i dei clienti sui social: maggiore è il numero di “Mi piace” su Facebook, minore è il tasso di interesse per il cliente. La partecipaz­ione dei clienti all'interno della comunità viene premiata anche in altri modi, ad esempio tramite bonus in denaro per chi risponde a quesiti di carattere finanziari­o posti da altri clienti. Un esempio, questo, che ci fa pensare ad un futuro in cui gli “intermedia­ri finanziari” non temono la disinterme­diazione perché sono in grado di incorporar­la e valorizzar­la facendosi piattaform­a aperta. Una piattaform­a capace di conversare con i propri stakeholde­r e di farsi misurare da rating sempre più reputazion­ali.

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