Diamoci una mossa
L’inattività porta sofferenza, ma possiamo imparare a spingere la mente a creare storie incredibili: un pezzo di legno può diventare una navicella spaziale o tu stesso puoi trasformarti in un eroe
Dei 409 partecipanti alla prova, quasi nessuno disse di gradire quell’esperienza e quando Wilson chiese loro di ripeterla a casa per un quarto d’ora, molti ammisero di essersi annoiati dopo meno di un minuto. Quanto è spiacevole stare in compagnia di se stessi? Wilson provò a mettere 55 volontari in una stanza dove si poteva fare solo una di due cose. O aspettare senza far nulla, oppure schiacciare un pulsante prendendo una leggera scossa elettrica, leggera sì, ma giudicata spiacevole in una prova preliminare. Ebbene, nel corso di questo quarto d’ora in cui si doveva aspettare, il 67% degli uomini e il 25% delle donne (più sagge e riflessive) scelsero di infliggersi una piccola scossa pur di bloccare la noia dovuta all’incapacità già intuita da Blaise Pascal.
Nell’articolo pubblicato nel 2014 su «Science», da allora discusso e ripreso più volte, Timothy Wilson sosteneva che è possibile allenare le persone a stare da sole e a trasformare le attese “vuote” in piacevoli momenti in cui si riflette sulle vicende del mondo o sui fatti nostri. Il segreto è stimolare la curiosità, non solo quella sollecitata da scenari esterni, ma anche quella attivata dal flusso dei pensieri nella nostra testa. Se imboccate questa strada, le domande sono infinite e, anzi, la concentrazione su se stessi può diventare una droga. Nel caso dei bambini, il paradosso è che da piccoli siamo naturalmente portati a costruire mondi alternativi in cui muoverci con la fantasia. Basta trasformare, per esempio, un pezzo di legno in un’astronave o servirsi di altri supporti rudimentali per costruire storie appassionanti. Alle volte gli stessi bambini si trasformano in qualcosa d’altro: un poliziotto, un campione o anche, un treno o un aereo. Purtroppo spesso i genitori sono preoccupati da quelle che catalogano come fantasticherie e, per evitare “la testa tra le nuvole” – come dicono loro, imbottiscono le giornate dei figli con impegni che si succedono l’un l’altro. Quando i bambini fanno l’abitudine a tale attivismo, la compagnia di se stessi diventa un “vuoto”, non un’occasione di libertà da sfruttare a piacimento. Attività prima riempitive diventano poi sostitutive: ecco i giovani chini sugli schermi degli smartphone. Anche i giocattoli possono contribuire al formarsi di quest’abitudine insana. Stanno diventando sempre più diffusi i passatempi in cui si chiede al bambino di essere spettatore o di intervenire in uno scenario vincolato, già costruito da altri. Solo per fare un esempio, si tratta di abbattere rapidamente nemici che compaiono sullo schermo, o altre cose del genere. Quando ero piccolo e facevo lunghe vacanze in campagna, mi era stato regalato un coltellino svizzero (già fortunatissimo rispetto ai figli dei contadini). Con questo strumento potevo fare di tutto. Il Meccano o il Lego, in questa prospettiva, sono meglio del partecipare a una storia raccontata su uno schermo che richiede interventi minimi. I bambini dis-educati a una vita tracciata lungo binari prestabiliti, possono ribellarsi. Oppure, peggio, porre la fatidica domanda: «Che cosa devo fare? Mi annoio!». Alternativa comunque non buona: o la noia o la ribellione.
Va detto, tuttavia che, nella vita adulta, c’è noia e noia. Un conto è la noia di pascaliana memoria. Altro conto è la “noia-noia”, quando dobbiamo compiere operazioni ripetitive che richiedono continua attenzione. Con la nascita delle nuove tecnologie, il rapporto uomo-macchina è talvolta caratterizzato da compiti che ci costringono a fare “una cosa alla volta”, la stessa operazione senza mai distrarci. Se invece un’attività ripetitiva può essere completamente automatizzata, siamo liberi di lavorare pensando ai fatti nostri perché abbiamo imparato a “liberare la nostra testa”. Ci sono molti trucchi per automatizzare le attività ripetitive che dobbiamo fare per lavoro, evitando così la noia dell’attenzione costante e ripetuta. Ma questa è un’altra storia.
Per saperne di più: Paolo Legrenzi, Carlo Umiltà, Una cosa alla volta, Il Mulino, Bologna, pagg. 184, € 13